Una premessa generale
Il 12 gennaio, dalle 17.30 fino alle
20 circa si è tenuta all’ex Asilo Filangieri di Napoli una assemblea bella,
vivace e istruttiva, indetta da Rete dei Comunisti (RdC) su un episodio
successo a Natale, e cioè l’aggressione a Michele Franco, esponente di Rete dei
Comunisti, organismo che ha centro a Roma e che da alcuni mesi la Carovana del
(n)PCI indica come un centro importante dove si producono e si diffondono
disfattismo e attendismo, due tendenze che sono di ostacolo alla costruzione
della rivoluzione, che periodicamente ricompaiono nella storia del movimento
comunista e che vanno tolte, perché dove sono state tolte la rivoluzione ha
vinto.[1]
Questo documento è lungo, perché serve
che da quello che sta accadendo quanti più compagni e compagne traggano
insegnamento. È documento di studio, che richiede da chi legge attenzione e
passione. I documenti che riguardano la storia della lotta di classe sono
materia di studio viva, che ha un valore di verità e di efficacia (di utilità a
chi li studia) molto alto, all’opposto delle materie insegnate nelle università
borghesi, e in particolare delle materie riguardanti le scienze politiche,
economiche, filosofiche. La rivoluzione in corso è anche rivoluzione
scientifica. La scienza elaborata dal movimento comunista dalla sua fondazione
a oggi consente una visione delle cose con sguardo d’aquila, mentre nelle
università borghesi quello che ci danno in pasto sono come avanzi che il
commensale gentilmente offre al gatto o al cane.
I lavoratori e tutti gli elementi
avanzati delle masse popolari sono interessati alle battaglie ideologiche in
corso. Ci fosse disinteresse, all’assemblea del 12 gennaio sarebbero venuti in
dieci, e non in cento. I lavoratori e gli elementi avanzati delle masse
popolari non disprezzano la discussione sulle questioni di principio, le
questioni ideologiche, le questioni filosofiche. Disprezzano la cattiva
filosofia, quella di chi si limita a descrivere le cose come stanno, di chi
dice che si starà a vedere e “intanto vediamo come io me la cavo”. Apprezzano
la filosofia di chi trasforma il mondo, del partito che trasforma il mondo, il
loro partito. Capiscono bene questa filosofia, ne capiscono bene l’uso nelle
battaglie entro il movimento comunista tra chi vuole costruire la rivoluzione e
chi no, si appassionano a queste battaglie perché rompono contro una falsa
unità secondo la quale saremmo tutti amici, magari a discutere delle varie
opinioni sulla rivoluzione e tutto il resto, che sarebbero tutte opinioni
legittime, magari differenti tra di loro, ma unite sull’idea che non è mai il momento
di attaccare, mai il momento della riscossa, di vincere. Quelli che si uniscono
a quel modo sono uniti tra di loro e separati dalla classe operaia e dal resto
delle masse popolari.
Questo documento, quelli che lo hanno
preceduto e che sono qui citati e quelli che seguiranno, sono rivolti ai
lavoratori e agli elementi delle masse popolari che vogliono capire, aprirsi e
lasciarsi conquistare dal nuovo che sta nascendo.
Una premessa particolare, sulla
dissociazione
L’aggressione a Michele Franco è stato
un episodio che non abbiamo potuto conoscere in dettaglio, se non per il fatto
che gli aggressori erano tre, che il motivo dell’aggressione risaliva ad
antichi dissidi, di molti decenni fa, riguardanti il fatto che Franco negli
anni ’80 dello scorso secolo si dissociò, cosa che di lui dicono e che lui
nega, e sulla quale chi non è di Napoli non può intervenire perché non sa.
Franco ha dichiarato che è disponibile a discutere della cosa con chiunque:
andiamo al bar a prendere un caffè e se ne parla, dice. Non è questo il modo
per discutere di una cosa così importante come la dissociazione, fenomeno che
seguì al pentitismo e con cui lo Stato della borghesia imperialista attaccò il
movimento rivoluzionario in quei decenni, e in particolare modo le Organizzazioni
Comuniste Combattenti e ancora più in particolare le Brigate Rosse.
La Carovana del (n)PCI in quegli anni
era il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione, e si forgiò
in una lotta contro la dissociazione. Il Coordinamento ingaggiò una dura lotta
politica per arginare il dilagante fenomeno del pentitismo e della
dissociazione dalla lotta di classe, individuato e denunciato come causa
principale del pessimismo e del disfattismo sempre più diffuso tra le fila del
movimento comunista.
Quelli che rifiutavano di pentirsi e
dissociarsi, e che furono chiamati dalla propaganda borghese “irriducibili”,
erano compagni del tutto interni alla continuità rivoluzionaria, mentre la
dissociazione era un progetto che favoriva l’attacco della borghesia contro il
movimento comunista e proletario. Dissociarsi significava aderire al potere
costituito e illudere il proletariato che era ancora possibile utilizzare lo
stato borghese per riformare il sistema capitalista. Dissociarsi significava
iniziare la cantilena del “siamo stati sconfitti, la borghesia ha vinto, non è
possibile fare la rivoluzione, la classe operaia non è un soggetto
rivoluzionario, il capitale ha un piano e lo attua, il mondo è cambiato”. È la
cantilena che ancora sentiamo ripetere dalla sinistra borghese[2], che iniziò ad
affermarsi allora, e i cui caratteri sono
- la concezione dei comunisti come sponda (gruppo di sostegno delle rivendicazioni e richieste degli operai e delle masse popolari in generale) nelle istituzioni del sistema politico del nostro paese,
- la concezione secondo cui capitale agisce con un piano,
- il superamento della forma partito,
- il disprezzo per la teoria rivoluzionaria,
- il riformismo elettorale e
- il politicantismo.
Contrastando
pentitismo e dissociazione il Coordinamento contrastava la frammentazione
interna al proletariato creando un vasto movimento di solidarietà verso i
compagni che dentro le carceri resistevano alle torture e alle lusinghe della
borghesia senza pentirsi o dissociarsi. Ciò non significava condividere nel
dettaglio le posizioni politiche di ogni comunista prigioniero. Significava
delimitare il campo in due parti: da una parte la borghesia con i suoi servi,
dall’altra le masse popolari e le loro avanguardie comuniste.
È evidente, Michele Franco, che tutto
questo non è cosa da trattare in una situazione da “quattro amici al bar” o da
“bar Casablanca”.[3] Va fatto in
iniziative pubbliche, e il P.CARC lo sta facendo, con le iniziative di
presentazione in più parti d’Italia de Il proletariato non
si è pentito, documento prodotto nel 1984 dal Coordinamento Nazionale dei
Comitati contro la Repressione, e di Cristoforo Colombo, testo
pubblicato nel 1988, con cui alcuni protagonisti fanno un bilancio
dell’esperienza delle Brigate Rosse e tracciano linee di sviluppo del processo
rivoluzionario.[4] Invitiamo te e
tutti a partecipare.
Quanto all’episodio del 25 dicembre
scorso, si tratta di un modo sbagliato di trattare le contraddizioni in seno al
popolo, che non sono antagoniste. L’aggressione è un gesto inconsulto, e il
venire alle mani indica l’arretratezza della situazione politica. Chi mena è
arretrato perché chi dice di essere avanzato, chi si dichiara comunista, non
gli ha dato strumenti sufficienti per avanzare nel comprendere le
contraddizioni in campo e risolverle. È come quando leggiamo qualcosa scritto
male in italiano da una donna o un uomo delle masse popolari: o siamo
comunisti, e ci diamo da fare per insegnargli a scrivere, o non lo siamo, e lo
deridiamo e lo disprezziamo per la sua ignoranza.
Il contesto
Il contesto in cui si è svolta questa
assemblea è la battaglia intrapresa dalla Carovana del (nuovo)PCI contro le
posizioni attendiste e disfattiste di cui Rete dei Comunisti è espressione di
avanguardia. “Attendisti” sono quelli che aspettano che la rivoluzione scoppi,
come fosse un fenomeno naturale, un fulmine, ad esempio. Si dividono tra quelli
che ancora non sanno che la rivoluzione invece è un azione sociale, qualcosa
che va costruito e quindi richiede volontà e scienza, e quelli che non lo
vogliono sapere e che vogliono mantenere in questa ignoranza tutti quanti.
“Disfattisti” sono quelli che dicono che la rivoluzione non è possibile, o
meglio, che non è possibile oggi, che ci sarà ma non si sa quando, e così
possono chiamarsi anche loro rivoluzionari, come se per essere rivoluzionario
bastasse restare in attesa dell’evento.[5]
Attendisti e disfattisti sbagliano e
dicono il falso, perché la rivoluzione non solo è possibile, ma è in corso. La
rivoluzione socialista è un processo, che si conduce come una guerra, fatta di
campagne che si compongono di tante battaglie e di cui la conquista del potere
è solo la conclusione, così come il numero mille è l’ultimo millesimo di una
serie di millesimi iniziata con il numero uno, che dei millesimi è il primo. È
un processo che richiede la una partecipazione delle masse popolari cosciente.
[6] È un processo
che richiede il tempo necessario, che può essere molto. È quindi una guerra,
una guerra rivoluzionaria, una guerra popolare, una guerra di lunga durata.[7] Si conclude
con la conquista del potere, ed è, tra le altre cose, conquista del cuore e
della mente delle masse popolari. È in atto, perché inizia con la costituzione
del partito comunista, e quindi le forze riunite nella Carovana del (n)PCI
imparano a condurla nel modo sopra descritto dalla data della costituzione del
(nuovo)PCI, e cioè dal novembre del 2004.
Tutto questo può risultare strano e
nuovo, perché non corrisponde a quanto abbiamo già saputo e sentito della
rivoluzione, ma il fatto è che la rivoluzione in un paese imperialista quale
l’Italia è non è mai stata fatta, e per farla bisogna sperimentare nuovi
strumenti, fare nascere il nuovo, e quindi provare a camminare, cadere,
alzarsi, ricadere e rialzarsi, ma cosi avanzare, e guadagnare infine stabilità
e fierezza, quale abbiamo sentito ad esempio, nell’assemblea del 12 gennaio
nell’intervento di Luigi (Giggino) Sito, segretario generale del Sindacato
Lavoratori in Lotta per il sindacato di classe.
Le ragioni per cui RdC ha indetto
questa assemblea
L’assemblea si è svolta in un
corridoio dell’ex Asilo, che è una struttura imponente nel centro di Napoli con
sale anche molto ampie. Al nostro arrivo, erano state disposte un
venticinque di sedie, segno che RdC non attendeva una grande partecipazione,
probabilmente non la desiderava, probabilmente non desiderava nemmeno fare
questa assemblea. Perché l’ha fatta, allora?
Non l’ha fatta per la “gravità
dell’episodio”. Cose manesche ce ne sono a Napoli e altrove, a volte si mette
anche mano ai coltelli, intellettuali come Luciano Vasapollo, di Rete dei
Comunisti, a Roma prendono a sberle la gente in pubblico, pure il compagno Sito
di cui parlo sopra qualche tempo fa è stato aggredito a Napoli proprio come è
successo a Franco,[8] ma nessuno ha
fatto assemblee, anche quando il P.CARC ha sollecitato a farle. Lo stesso
Franco fu aggredito insieme a un altro, Massimo Amore, non molto tempo fa e
tutto quello che si fece fu una riunione ristretta, con un venticinque presenti
circa, come quelli probabilmente attesi il 12 gennaio scorso.
Come si sono svolti gli eventi?
Riassumo in breve. Dall’estate RdC viene incalzata da aggregati della Carovana
del (n)PCI, che criticano con insistenza crescente e in modo diretto le sue
posizioni attendiste e disfattiste. RdC non risponde ad alcuno. A dicembre RdC
fa un convegno dove distorce Gramsci per alimentare il disfattismo di cui è
campionessa: dice che secondo Gramsci “il nuovo non può nascere”, il che non
solo è sbagliato, ma anche falso, nonostante sulla cosa ci marcino gli
intellettuali borghesi più rinomati, come ad esempio un Zygmunt Bauman morto la
scorsa settimana.[9] Il (nuovo)PCI
risponde il 15 dicembre e la Commissione Gramsci del P.CARC il 16 e il 17
dicembre, e viene ristabilita la verità sull’argomento.[10] Il 23
dicembre il SLL, per bocca del suo Segretario generale, critica Franco che
disfattista era nel 1992 e disfattista è oggi, a giudicare dall’aggregato in
cui sta. Il 31 dicembre la Segreteria federale campana del P.CARC dichiara
solidarietà all’Unione Sindacale di Base per quanto accaduto a Franco, che
oltre che membro di RdC è dirigente USB, e dice pure che meglio farebbe RdC a
rispondere alle critiche che le sono rivolte:
La Rete dei Comunisti mette il veto al
dibattito con il Partito dei CARC e le nostre critiche, che esprimiamo
pubblicamente alla loro linea politica, vengono percepite e concepite come
offese personali e, piuttosto che rispondere e controbattere in maniera
pubblica, utilizza il classico metodo della scomunica o denigrazione
sotterranea arrivando a manovre di basso livello, come il non dare la parola ai
loro cortei o alle loro assemblee. E’ con questo modo di agire che noi pensiamo
si alimenta il “contesto di arretramento culturale e politico” che pure
l’esecutivo regionale USB denunciava nel suo comunicato di solidarietà a
Michele Franco.[11]
Il primo gennaio Franco risponde: “Ringrazio della solidarietà ma non condivido l' analisi che avanzate. Faremo un assemblea pubblica a Napoli dove discuteremo di queste cose e dove siete invitati ad intervenire.” RdC quindi indice l’assemblea su spinta del P.CARC, e per discutere con il P.CARC. Però non lo vuole fare, e questo ce lo dirà Sergio Cararo, responsabile della redazione di Contropiano, organo di informazione in rete di RdC, secondo il quale di una loro discussione con il P.CARC ai lavoratori “nun gliene po’ fregà de meno”, come vedremo di seguito.
Il (nuovo)PCI ha però dubbi che RdC
mantenga la promessa fatta da Franco. Infatti i dirigenti di RdC sono quelli
che “dichiarano sistematicamente che bisogna studiare, bisogna fare l’analisi
di questa o quella questione del passato, bisogna fare il bilancio, ma né l’hanno
fatto né lo fanno.”[12] Il
(nuovo) PCI il 5 gennaio scrive:
“La destra che dirige Rete dei Comunisti e il PC di Marco Rizzo con diverse sfumature e con diverse motivazioni rimandano la rivoluzione socialista a un futuro lontano e indefinito, con la riserva che è tipico della destra che si spaccia per comunista di non formulare mai nettamente le proprie posizioni, così ogni volta che è messa alle strette da argomentazioni inoppugnabili può sempre sostenere che in realtà voleva dire un’altra cosa, diversa da quella che le viene contestata. Non osa difendere apertamente le sue posizioni. Michele Franco (Rete dei Comunisti) a Napoli ha annunciato al Partito dei CARC un dibattito pubblico sullo slogan del Forum RdC di dicembre: se davvero manterrà fede all’annuncio sarà un’eccezione a cui lo ha trascinato il gesto d’indignazione che ha subito a Natale.”[13]
Saranno queste due ultime due righe e mezzo l’argomento all’ordine del giorno dell’assemblea del 12 gennaio, lette all’inizio da Franco, ribadite sempre da lui alla fine, e riprese da tutti quelli che avevano prenotato per un viaggio su questa linea.
“La destra che dirige Rete dei Comunisti e il PC di Marco Rizzo con diverse sfumature e con diverse motivazioni rimandano la rivoluzione socialista a un futuro lontano e indefinito, con la riserva che è tipico della destra che si spaccia per comunista di non formulare mai nettamente le proprie posizioni, così ogni volta che è messa alle strette da argomentazioni inoppugnabili può sempre sostenere che in realtà voleva dire un’altra cosa, diversa da quella che le viene contestata. Non osa difendere apertamente le sue posizioni. Michele Franco (Rete dei Comunisti) a Napoli ha annunciato al Partito dei CARC un dibattito pubblico sullo slogan del Forum RdC di dicembre: se davvero manterrà fede all’annuncio sarà un’eccezione a cui lo ha trascinato il gesto d’indignazione che ha subito a Natale.”[13]
Saranno queste due ultime due righe e mezzo l’argomento all’ordine del giorno dell’assemblea del 12 gennaio, lette all’inizio da Franco, ribadite sempre da lui alla fine, e riprese da tutti quelli che avevano prenotato per un viaggio su questa linea.
L’assemblea invece era stata indetta,
a quanto pare. Il comunicato che la indice è firmato in data 4 gennaio, anche
se la data di pubblicazione indicata sopra è dell’8 gennaio.[14] Al di là di
questi misteri, va riconosciuto a Franco di avere mantenuto la parola data, e
di avere condotto il dibattito in modo regolare, il che non era così semplice,
trattandosi in questo caso di una novità, di una assemblea dove effettivamente
idee e indirizzi contrastanti venivano fuori senza maschere e diplomazie,
differentemente da quelle iniziative dove si susseguono interventi a
passerella, dove si dice e non si dice, si lanciano messaggi trasversali a
amici e nemici che li capiscono solo gli interessati, si fa sfoggio di
eloquenza, si fa l’elenco delle cattiverie del nemico e si fa addormentare la
gran parte degli intervenuti.
Gli interventi
Riporto gli interventi in modo in modo
di parte, o meglio,
di partito, cioè secondo il metodo di conoscenza della realtà (anche di questa
realtà) del movimento comunista, il materialismo dialettico,[15] e solamente in parte, perché
molte cose mi sono sfuggite.
Mi sono sfuggite perché ci sono cose
che sono state dette in napoletano, lingua che capisco ma non troppo bene:
questa tendenza a esprimersi in lingua locale, per quanto venga spacciata come
genuina e popolare, è la stessa per cui ci si veste in stile “finto povero” o
si mangiano come fossero i piatti più raffinati quelli che mezzo secolo fa
erano le uniche cose che i contadini poveri potevano permettersi.
È stato
giusto dall’ultimo dopoguerra a oggi porre attenzione alla ricchezza dei
dialetti e delle lingue delle varie regioni del paese, tutti mezzi di
espressione di spontaneità e di varietà, ma oggi l’ignoranza cresce, e il fatto
che tanti proletari non sappiano scrivere nella lingua nazionale e si
esprimano solo in dialetto non è espressione di libertà: chi conosce solo un
linguaggio compreso entro una area ristretta, potrà parlare dei suoi pensieri e
sentimenti solo con un numero ristretto di individui, la sua mente sarà
ristretta e sarà ingannato facilmente da quelli che lo governano, che hanno
relazioni sul piano non solo economico e politico ma anche culturale a livello
nazionale e internazionale. Gramsci al riguardo scrive:
Se è vero che ogni linguaggio contiene
gli elementi di una concezione del mondo e di una cultura, sarà anche vero che
dal linguaggio di ognuno si può giudicare la maggiore o minore complessità
della sua concezione del mondo. Chi parla solo il dialetto o comprende la
lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente di una intuizione
del mondo più o meno ristretta e provinciale, fossilizzata, anacronistica in
confronto delle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. I
suoi interessi saranno ristretti, più o meno corporativi o economistici, non universali.
Se non sempre è possibile imparare più lingue straniere per mettersi a contatto
con vite culturali diverse, occorre almeno imparare bene la lingua nazionale.
Una grande cultura può tradursi nella lingua di un’altra grande cultura, cioè
una grande lingua nazionale, storicamente ricca e complessa, può tradurre
qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale. Ma un
dialetto non può fare la stessa cosa.[16]
Molte cose mi sono sfuggite perché sono messaggi trasversali che forze politiche in contrapposizione tra loro si mandano in queste occasioni e che le capiscono solo loro. E’ una usanza da Repubblica Pontificia, dove le cose non si dicono direttamente, dove si dice il peccato e non il peccatore, dove il messaggio è retorica in cui parli di tutto e di niente. Che sia roba da Repubblica Pontificia e in particolare roba da gesuiti si fa presto a vederlo: tu prova a cercare un nome e cognome nelle prediche contro i mali del mondo di Bergoglio, quello che tanta sinistra borghese vuole santo subito.
Dato che molte cose mi sono sfuggite e
dato che tutte le dico secondo come il partito mi ha insegnato a vederle, tutti
quelli che hanno da fare aggiunte o hanno da ridire lo facciano. Quanto
maggiori saranno commenti e proteste, tanto meglio sarà.
Michele Franco
Franco parte dall’episodio di Natale,
ma non vuole discutere dell’episodio in sé, dice. Torna quindi a un episodio
precedente, in cui quello che più prese ceffoni fu Massimo Amore.[17] Tutti questi
episodi, dice Franco, non hanno natura politica. Dice che i suoi aggressori
sono stati tre, che gli hanno rivolto epiteti ripetuti in post su Facebook,
dice che lui fu in carcere nel 1982, dice che di cosa ha fatto in quel periodo
è disposto a parlare con chiunque e soprattutto ai giovani che non conoscono la
storia (è qui dove dice che la cosa si può risolvere con una chiacchierata al
bar).
Chiede a chi giova l’accaduto, domanda
che avrà eco in un monte di interventi successivi. Chi più e chi meno sembra
volessero dire che l’azione era cosa ordita contro il movimento di classe dagli
apparati repressivi della classe avversa, e che di questo ordire la Carovana
del (n)PCI potrebbe essere agente. Uso il condizionale perché si tratta di
sibili in cui nome e cognome non si dicono, e meno che mai per una accusa così
grave, che però corre da un capo all’altro di forze che cercano riparo e
identità tra le rovine del vecchio movimento comunista, come la Rete dei
Comunisti da un lato e il PC di Rizzo dall’altro, forze che maledicono chi è
all’opera per costruire la rivoluzione. Chi vuole fare la rivoluzione socialista,
dicono “o è un pazzo o è un poliziotto”.[18]
Quello che dicono è riferito alla
Carovana del (n)PCI? Non possiamo dirlo, perché nelle loro accuse non usano mai
nome e cognome, e sempre nascondono la mano con cui lanciano il sasso. Le loro
accuse però sono palesemente false, se sono rivolte a noi. È facile mostrarne
la falsità per noi che abbiamo smontato le accuse dei tribunali della
Repubblica Pontificia. Nella realtà quella vera, infatti, la Carovana del
(nuovo)PCI è nata e cresciuta nella lotta contro gli apparati repressivi dello
Stato che a lei hanno dedicato e dedicano una attenzione quale mai è stata
dedicata a nessun altra forza politica che si dichiara comunista negli ultimi
trenta anni, lotta che ha sempre vinto, tanto che ogni volta che compagni sono
stati incarcerati ne siamo usciti più forti di prima. Come è possibile che
qualcuno ci chiami poliziotti, a noi che siamo stati attaccati dalla polizia nei
cortei e fino a dentro le nostre case? E come è possibile chiamarci pazzi,
considerata la mole di studi prodotta nel corso dei decenni, anche quando siamo
stati in carcere, raccolta in libri e pubblicazioni con una continuità che non
ha uguali nel movimento comunista dell’ultimo mezzo secolo? Resistenza, il
foglio del P.CARC, viene pubblicato senza interruzioni da 22 anni. La
pubblicazione di La
Voce del (nuovo)PCI dura da 18 anni e non si è interrotta nemmeno
quando hanno arrestato membri del Partito tra cui il dirigente del (n)PCI
Giuseppe Maj. La pubblicazione delle Opere di Mao Tse
tung in 25 volumi è la più completa mai fatta in un paese imperialista. Si
tratta di un opera di elaborazione scientifica riguardo alla quale si può anche
non concordare, ma esiste ed è sotto gli occhi di tutti. Forse Rizzo ci
considera scienziati pazzi, come il dottor Frankenstein o il capitano Nemo che
stava ventimila leghe sotto i mari?
Franco dice che gli apparati
repressivi hanno seguito tutto quello che è accaduto il 25 dicembre e nei
giorni successivi, e che a Napoli c’è una maturità politica che mai ha
consentito si arrivasse a “incarognimenti” come quelli di cui sta parlando. La
segretaria federale del P.CARC, Fabiola d’Aliesio, lo smentirà in un suo
intervento successivo, e anche altri nel corso di questi giorni a voce e nei
vari WhatsApp faranno elenchi di fatti a ulteriore smentita delle affermazioni
di Franco.
Franco parla del fatto che il
movimento napoletano è unito in vari fronti di lotta, come a Bagnoli, come sul
terreno dell’antifascismo, come sul terreno elettorale, e in altri campi.
Quanto all’unità sul terreno elettorale, risulta che le cose non stanno come
dice Franco: ci sono state divergenze importanti, e di Maio, esponente di
Insurgencia eletta in consiglio comunale, in piazza è stata trattata in malo
modo nel periodo precedente le ultime amministrative. In generale, però, Franco
sbaglia a contrapporre l’unità alla espressione delle divergenze tra vari
organismi, e i particolare alle divergenze molto nette che la Carovana del
(n)PCI ha e avrà cura di spiegare rispetto alla linea della Rete dei Comunisti.
L’espressione delle divergenze è sana, e si combina perfettamente con l’unita
di azione nelle lotte. Inoltre le divergenze tra Carovana del (n)PCI e RdC sono
sul piano nazionale, e quello che accade a Napoli è solo l’espressione
napoletana di una battaglia ideologica che riguarda l’intero movimento
comunista italiano.
Franco dice che c’è un limite a cui
non dobbiamo avvicinarci, e che la solidarietà è a prescindere da queste
divergenze. Qui viene fuori che si sta riferendo al (n)PCI, perché si riferisce
al passaggio del suo Comunicato del 5 gennaio sopra anticipato che da ora in
poi verrà ripetuto in più salse, e che Franco definisce “bizzarro”.
Su questo bisogna fermarsi, e spiegare
a Franco quella che per lui è una bizzarria. Dobbiamo comprendere la realtà e
spiegarla anche quando si tratta di sberle. Ceffoni ne volano assai entro il
movimento comunista, e bisogna studiarli caso per caso. Ci sono quelli che
prese Bersani negli anni Settanta quando faceva l’extraparlamentare da uno del
servizio d’ordine del vecchio PCI, che lo fecero convertire come accadde a S.
Paolo quando cadde dal cavallo, dopodiché che entrò in quel partito e fece la
carriera che sappiamo. Ci sono quelli che prese Bruno Trentin quando
venne in piazza S. Marco a Firenze il 22 settembre 1992, cui seguì il lancio di
bulloni in piazza S. Croce, il che fu la risposta operaia al famigerato accordo
del 31 luglio di quell’anno che, sottoscritto da CGIL-CISL-UIL, sancì la fine
della scala mobile e il congelamento delle retribuzioni. Ci sono quelli del 25
dicembre di cui stiamo parlando, che parecchi il 12 gennaio al Filangieri hanno
definito segno di pazzia, delirio e simili.
Io andrei cauto nel dichiarare forma
di pazzia un fenomeno. Di sberle e anche peggio da parte di pazzi sono esperto,
perché ne ho prese parecchie e anche abbastanza forti da ricordarmele ancora,
dato che ho lavorato per trentatré anni come assistente con quelli che oggi si
chiamano disabili psichici e un tempo si chiamavano pazzi.[19] L’episodio
del 25 gennaio è altra cosa da tutto questo. Il (n)PCI lo definisce giustamente
gesto di indignazione, e ripetere a voce più o meno alta e stizzita che si
tratta di pazzia o complotto non cambia la realtà, che è quella che è ed è
indifferente al modo in cui la descriviamo, soprattutto se la descriviamo in
modo sbagliato.
Vediamo di analizzare la questione per
bene. Prestami attenzione, Michele Franco, e con te tutti quelli che vogliono
capire quello che sta succedendo. Il (n)PCI dice: “Una volta date le condizioni
oggettive del socialismo, che in Europa esistono da più di un secolo, per la
vittoria della rivoluzione socialista il fattore decisivo sono le condizioni
soggettive.”[20] Il movimento
comunista cosciente e organizzato può quindi costruire la rivoluzione
socialista. Anche Gramsci lo dice. Dice che quando esistono “le condizioni
necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano
essere risolti storicamente” lo si deve fare “perché ogni venir meno al
dovere storico aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi”,[21]
il che significava “una volta che la rivoluzione socialista è possibile, e oggi
lo è, va fatta, perché se i socialisti non la fanno i responsabili del fascismo
e poi della guerra sono loro”. Sta parlando dei partiti socialdemocratici della
Seconda Internazionale, incluso il PSI, e non parla chiaro perché è in carcere
e non lo può fare.
I comunisti devono risolvere
storicamente i propri compiti, dice Gramsci: non farlo prepara più
gravi catastrofi. I compiti che i comunisti devono risolvere sono posti dal
corso della storia e devono essere assolti. La crisi impone che noi
lottiamo per fare dell'Italia un nuovo paese socialista. Lo impone a tutti
quelli che si dichiarano comunisti. Ripeto il concetto: quelli che si
dichiarano comunisti e non assolvono questo compito, dice Gramsci e lo diciamo
noi, sono responsabili delle catastrofi. Rete dei Comunisti non solo non
assolve il compito di costruire la rivoluzione socialista, ma addirittura dice
che è impossibile, e quindi i suoi dirigenti non assolvono i propri compiti e
preparano catastrofi, dice Gramsci in questo Quaderno dove fa una critica
dell’economicismo che consiglio di leggere a te e a tutti, e anzi potreste
farci un Forum, invece di stare dietro a quello che scrivono intellettuali
borghesi come questo Zygmunt Bauman, altro esperto di Gramsci di cui avremmo
fatto volentieri a meno.
Rete dei Comunisti e altri devono
mettersi a fare politica nel campo della lotta di classe, e non scimmiottare i
convegni degli intellettuali borghesi citando questo e quello e così via. Fare
politica nel campo della lotta di classe significa assumere ruolo dirigente nel
paese, porsi come dirigenti in un governo di emergenza, quello che noi
chiamiamo Governo di Blocco Popolare e che voi potere chiamare come vi pare,
basta che vi assumiate le responsabilità che dovete assumervi.
Se non ve le assumerete, le
conseguenze per voi saranno molto amare. Voi state continuando a fare la beata
opposizione quando le masse popolari si aspettano che vi facciate governo, e
l’indignazione contro chi si attarda nell’assumersi le responsabilità dovute
monta, e le sue forme non sono controllabili da nessuno, né da voi, né da noi.
Noi tutto questo ve lo segnaliamo. Tutti quelli che il 12 gennaio al Filangieri
sibilavano che la Carovana del (n)PCI sarebbe addirittura mandante di chi
va in giro a distribuire ceffoni valgono tanto quanto quelli che accusano i
meteorologi di generare il maltempo perché lo prevedono. La Carovana del
(n)PCI, Michele Franco, non è una tribù di pellerossa che fa le danze della
pioggia. Spero il ragionamento ti sia chiaro. Se non lo è, lo chiariremo in
corso d’opera.
Pasquale Pennacchio
Pennacchio[22] parla a nome
del Laboratorio Comunista Casamatta. Considerato che l’aggregato si chiama
comunista segnalo che valgono per esso i doveri dei comunisti indicati sopra da
Gramsci e ribaditi dalla Carovana del (n)PCI. Pennacchio dichiara la
solidarietà rispetto alle due aggressioni di cui Franco ha parlato in apertura
del suo discorso, e che gli aggressori sono soggetti farneticanti. Secondo lui
dobbiamo limitare il dibattito alla città di Napoli. Secondo lui, quindi, la
presenza in questa sede di due dirigenti nazionali, Paolo Babini per il P.CARC
e Sergio Cararo per la RdC, è superflua. Descrive infine l’occupazione che il
suo organismo ha iniziato presso la Galleria Principe, a fianco della
occupazione da alcuni anni gestita dall’organizzazione popolare GalleryArt.
Edoardo Sorge
Edoardo Sorge è di un organismo che si
chiama Iskra, attivo a Napoli ma anche a Sesto Fiorentino, mi pare, e forse
altrove. Dice che quanto è avvenuto non va legittimato. Dice che ci sono
comunicati che non aiutano a risolvere le contraddizioni, e intende quelli
della Carovana del (n)PCI (anche in questo caso non si fanno nomi). Dice che
questa è la sede dove si deve fare il dibattito franco e aperto, cosa che Paolo
Babini nel suo intervento dirà più volte di condividere. Questa assemblea
infatti è da noi considerata una occasione ottima per fare il dibattito di cui
Sorge parla.[23]
Paolo Babini
Paolo Babini è dirigente del P.CARC.
Ripercorre alcuni momenti della discussione tra P.CARC e RdC degli ultimi mesi:
lui stesso ha scritto una analisi di una relazione di Franco del giugno 2016 e
uno studio parecchio lungo delle posizioni di RdC dalle origini a oggi, tutta
roba che non ha avuto risposta. Il fatto che ora si arrivi alla discussione sui
nodi ideologici di fondo dipende quindi anche dall’episodio del 25 dicembre.
Quello è stato un gesto inconsulto, senza dubbio, perché le contraddizioni in
seno al popolo non sono antagoniste e non si risolvono a manate, ma anche dai
fatti negativi si può trarre vantaggio, e infatti oggi lo facciamo confrontandoci
apertamente in questa assemblea.
Babini spiega che bisogna lottare
contro la concezione disfattista della rivoluzione socialista in particolare e
della lotta di classe in generale: questa concezione è deleteria, dannosa e
distruttiva: fomenta tra le masse indignazione e perfino abbrutimento.
È una lotta contro una concezione, non
contro individui. Non sono gli individui che creano le concezioni. Ogni
concezione esprime e fa l’interesse di classi precise. È un’arma di lotta. In
generale (e a Napoli in particolare) c’è la tendenza a identificare (anzi
ridurre) la linea e la concezione con gli individui, a mettere in risalto
questi e trascurare la concezione e la linea e gli interessi di classe da cui
queste nascono. Gli individui cambiano di posizione e di concezione anche
rapidamente e più volte, mentre le concezioni e le linee permangono perché
ognuna di esse riflette interessi precisi e diversi di determinate classi in
lotta e le classi non cambiano che con rivolgimenti sociali e con rivoluzioni
che si fanno in un periodo di una certa durata. Da duecento anni a questa
parte, aggiungo qui, le classi fondamentali sono borghesia e proletariato. Le
classi non cambiano dall’oggi al domani, rapidamente, come invece cambiano
posizione, opinione e ruolo gli individui.
Aggiungo anche che la concezione
disfattista è una costante. “La situazione attuale non è né
rivoluzionaria né prerivoluzionaria” è la tesi proclamata dalla Confederazione
dei Comunisti/e Autorganizzati promossa da Giorgio Riboldi e Leonardo Mazzei
nel 1998 con cui il numero 1 di La Voce (marzo
1999) inizia l’esposizione dell’analisi della situazione in cui si è costruita
la Carovana. Noi diciamo e dimostriamo che oggettivamente siamo in una
situazione rivoluzionaria, in un corso catastrofico delle cose e che sta a noi
far montare la maionese della lotta di classe, rafforzare con operazioni
sinergiche e concatenate le nostre forze della rivoluzione fino allo scontro
decisivo che instaureremo il socialismo. Certo allo scontro decisivo non ci
siamo ancora arrivati. I disfattisti e gli attendisti deducono che la
rivoluzione socialista non è possibile. Invece bisogna proseguire la
rivoluzione, farla avanzare, studiare ogni operazione, ogni mossa, ogni
battaglia in modo da raccogliere e migliorare le forze della rivoluzione fino
ad arrivare allo scontro decisivo, che sarà una svolta da cui inizierà la
costruzione della società socialista, la transizione al comunismo. Ogni
campagna, battaglia, operazione, mossa, la lotta pratica e le parole devono
essere studiate e fatte per “far crescere la maionese”. Le condizioni oggettive
sono favorevoli, fare la rivoluzione o subire e marcire è una questione
soggettiva: è una questione di volontà, di concezioni, di linee, di azioni di
gruppi e di individui.
Noi e altri della Carovana del (nuovo)
PCI, dice Babini, abbiamo più volte denunciato RdC di propagandare e applicare
una concezione disfattista della lotta di classe e della rivoluzione
socialista. “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere” è stata la parola d’ordine
del Forum tenuto da RdC il 17-18 dicembre a Roma. L’Avviso ai Naviganti
n. 66 diffuso il 15 dicembre dal (nuovo) PCI fa un attacco senza riserve a
questa concezione, e la nostra Commissione Rinascita Gramsci ha diffuso in
occasione del Forum di Roma un volantino dello stesso tenore. Babini ricorda le
parole con cui Chávez si rivolse alle masse popolari che lo ascoltavano
in una storica ed oceanica manifestazione del 2007, citando Gramsci e dicendo
che il vecchio muore e il nuovo ancora deve finire di nascere. C’è una bella
differenza tra il dire che il nuovo non può nascere e che ancora deve finire di
nascere.
Non ricordo se Babini lo ha detto, e
in ogni caso aggiungo qui che i compagni del SLL hanno fatto notare che la
linea disfattista ha un precedente famoso nella posizione liquidatoria assunta
nel lontano 1992 dagli allora esponenti dell’OCI tra cui Michele Franco
attualmente dirigente nella RdC e nell’USB. Ognuno può ben immaginare quali
sarebbero state le conseguenze per i lavoratori di Napoli e oltre se allora,
nel 1994, quelle posizioni disfattiste non fossero state respinte e travolte
dai lavoratori.
Babini torna sulla questione degli
individui. Non ci interessa e siamo convinti che non è importante la continuità
degli individui. La storia e l’esperienza lo dimostrano: le concezioni
rappresentano interessi delle classi e dei gruppi sociali in lotta. Non
invenzioni di individui. Non derivano dagli individui. Tanto vero che gli
individui cambiano concezione e condotta. Fa quindi una serie di esempi.
Giacinto Menotti Serrati nel 1919-1920
fu un esponente del disfattismo che ebbe gravi conseguenze per i lavoratori del
nostro paese ma poi si corresse e nel 1926 morì ancora giovane (a 50 anni) per
un infarto mentre andava in montagna a una riunione clandestina del PCI.
Amedeo Bordiga fu il principale
esponente del gruppo fondatore del PCI nel 1921, ma dal 1930 riprese
tranquillamente a fare l’ingegnere per tutto il periodo fascista.
Nicola Bombacci segretario generale
del PSI dopo il Congresso di Bologna dell’ottobre 1919, partecipò invece nel
1921 alla fondazione del PCI a Livorno, ma finì con Mussolini a piazzale Loreto
nel 1945.
Sono solo alcuni degli esempi tratti
dall’esperienza del movimento comunista del nostro paese. Tanti altri se ne
potrebbero fare, anche dal movimento comunista di altri paesi. Non degli
individui, della loro buona o cattiva fede, delle loro caratteristiche dobbiamo
parlare, ma delle concezioni e delle linee. Poi gli individui si schiereranno.
Gli individui cambiano e cambieranno. Noi siamo fautori della trasformazione
degli individui. Ci auguriamo e sappiamo che ogni individuo può migliorare.
La concezione che non è possibile fare
la rivoluzione socialista, che non siamo in una situazione rivoluzionaria, che
il nuovo non può nascere, corrisponde a una legge della realtà che non possiamo
eludere, a una legge oggettiva, come dirà nel suo intervento Sergio Cararo? O è
la linea portata tra le masse popolari per frenarle e disgregare, rendere
difficile la rivoluzione socialista? Di quale classe rispecchia gli interessi?
Questo è il problema che dobbiamo porci.
Quella della rivoluzione impossibile o
che “ci sarà un domani”, aggiungo qui, è una concezione che contrasta con i
fatti, una concezione sbagliata ma che favorisce la borghesia, ostacola la
lotta per far montare la maionese della lotta di classe, per far avanzare la
rivoluzione socialista, per trasformare i rapporti di forza, per costruire e
rafforzare il potere dei lavoratori d’avanguardia organizzati attorno ai
comunisti, per creare un nuovo potere, per raccogliere e far crescere le forze
rivoluzionarie fino allo scontro decisivo che eliminerà il potere della
borghesia e del clero e instaurerà in tutto il paese la dittatura del
proletariato. Ridurre la rivoluzione socialista allo scontro finale e decisivo
è il trucco con cui i disfattisti e gli attendisti contrastano la rivoluzione
socialista, scoraggiano i rivoluzionari, scoraggiano i lavoratori, li inducono
a rassegnarsi e sottomettersi in attesa di una rivoluzione che dovrebbe
scoppiare, ma non scoppia. Lo scontro decisivo non arriva mai, se non
costruiamo il processo che conduce ad esso. Non cade dal cielo. Non è frutto
del destino o del corso spontaneo delle cose. L’esperienza storica ha mostrato
che la rivoluzione socialista non scoppia. I soli paesi in cui si è arrivati
allo scontro finale e decisivo (e lo si è vinto) sono i paesi in cui i
comunisti per anni avevano “fatto montare la maionese” secondo un piano che via
via hanno aggiustato. Le rivoluzioni o si organizzano e si conducono passo dopo
passo come una guerra, o non ci sono. Anche di fronte agli eventi più
favorevoli, i lavoratori perdono. Questa è la lezione della storia. Con quale
argomento oggi gli esponenti della RdC vengono a dirci che “il nuovo non può
nascere”?
Babini coglie l’occasione per un salto
indietro nel tempo, visto che Franco ha parlato di un suo soggiorno nelle
carceri nel 1982. Cita un libro del 1983, Politica e
rivoluzione,[24]
la cui importanza è segnalata dagli organi della propaganda borghese,
allora impegnati a preparare il terreno per arrestare membri della Carovana del
(n)PCI. Il 22 giugno 1985 il settimanale l’Europeo
pubblica un articolo dal titolo “Le loro parole sono ancora di piombo”, firmato
dal professor Angelo Ventura, il quale afferma che “la cultura dell’eversione e
del terrorismo”, pur attraversando una profonda crisi d’identità, ha ancora
spessore, vitalità e diffusione maggiori di quanto comunemente si creda. In
particolare, includendo così il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la
Repressione nel campo cosiddetto terrorista, Ventura scrive:
Le pagine del Bollettino sono aperte
al dibattito dell’area eversiva con una scelta che privilegia rigorosamente i
documenti dei terroristi irriducibili e delle cosiddette Organizzazioni
combattenti, in particolare delle Br. (…) La disponibilità del Bollettino per
la lotta armata sembra senza riserve. A essa è collegata l’attività dell’Ing.
Giuseppe Maj, editore di un libro-documento dei brigatisti Coi, Gallinari,
Piccioni e Seghetti, nonché di un volume dal significativo titolo: Il
proletariato non si è pentito.[25]
Il libro è importante perché ha svolto un ruolo importante nella lotta di classe del nostro paese, in particolare contro le sbrodolature di chi, come Renato Curcio, uno dei primi dirigenti delle BR, cominciava a rinnegare addirittura il marxismo. Babini lo cita perché è attuale. Anche qui si parla di vecchio e nuovo, solo che in questo caso il nuovo propagandato come tale in realtà è vecchio.[26] Soprattutto, però si dichiara che si vuole fare lotta ideologica contro quelle che allora furono le posizioni anticomuniste. Contro quelle posizioni, i compagni dal carcere ribadiscono una posizione che è valida ancora oggi, e che condividiamo:
"Proprio oggi, circondati dai disastri
prodotti anche dalle più disparate teorizzazioni e pratiche politiche, tutte
rigorosamente nuove, post-moderne, neo-metropolitane, dobbiamo constatare come
la classe possieda ancora
un solo metodo, una sola concezione del mondo e dei rapporti sociali, che
l’abbia condotta in qualche parte, seppure temporaneamente, alla vittoria. E
visto che il problema principale per il proletariato non crediamo sia
esattamente quello di condurre una “vita spericolata”, ma quello di poter
decidere il proprio destino, e cioè vincere, recuperare
il marxismo-leninismo, abbandonando ogni residua tentazione
ideologico-catechistica, vuol dire riallacciare il percorso della nostra rivoluzione
a quello storico del proletariato internazionale. Recuperare una mentalità
scientifica, politica, vincente, maggioritaria…”[27]
Si tratta quindi, dice Babini, di definire cosa è concezione comunista del mondo, e cosa non lo è, e lo è quella che serve a fare la rivoluzione socialista. I quattro compagni delle BR si chiedono alla pagina 9 del loro libro che “la stessa identificazione come comunisti di molti soggetti a questo punto è un bel rebus” e infatti oggi, a trentaquattro anni di distanza, siamo a sciogliere il nodo: diciamo chiaramente che è comunista chi opera per costruire la rivoluzione socialista, e non lo è chi dichiara che la rivoluzione socialista è impossibile, e non lo è chi si mette ad aspettarla. Questa Rete dei Comunisti, quindi, non è comunista, visto che questo dichiara, e questo diciamo qui e continueremo a dire. E’ ora che quelli che si dichiarano comunisti siano coerenti con quello che professano, altrimenti alimentano confusione e disfattismo.
Rosario Marra
Marra, mi dicono, è del Partito di
Rifondazione Comunista. A me è parso proprio inviperito per l’intervento di
Babini. Dice che quell’intervento è proprio espressione del “vecchio” e che
diamo copertura ideologica a non so chi (all’esperienza delle BR, immagino).
Dice che stiamo strumentalizzando quanto accaduto il 25 dicembre. Anche lui fa
un balzo nel passato e torna al “teorema Calogero”.[28]
Ricorda che allora da parte degli arrestati ci fu massima solidarietà verso
tutti quelli che erano oggetto della repressione, indipendentemente dalla
posizione politica.
Sempre parlando di quell’epoca, dice
che a Napoli in quegli anni erano forti i gruppi marxisti leninisti. Dice che
leggendo certi comunicati gli pare di sentire quello che dicevano loro a quei
tempi. È un linguaggio di 40 anni fa, e a questo lui dice “Basta”! Il suo
insegnamento è che i giovani di oggi non devono fare gli errori che fecero
loro. Dice che “logiche integraliste” possono fare male anche dopo decenni. Sta
parlando del fatto che quelli che hanno aggredito Franco stanno appunto
ricordando quello che successe decenni fa. Su questo parlare di quello che
successe trenta anni fa lui fa un ragionamento curioso: dice che chi va
indietro nel tempo a rimestare il passato ha la stessa logica della borghesia,
che a quei tempi torna per continuare ad accanirsi su chi all’epoca fu
protagonista dello scontro di classe. Io dico che non si tratta tanto della
stessa logica, ma della guerra che nello stesso campo conducono la classe
operaia e il suo partito comunista contro la borghesia e i suoi organi della
repressione, campo della storia della lotta di classe. È un campo di battaglia
da cui la sinistra borghese cerca accuratamente di tenersi a distanza, sia
perché odia combattere, sia perché non avrebbe armi per farlo. La borghesia di
sinistra è per l’amore universale. Gramsci, per lei, è un apostolo d’amore, un
figlio dei fiori, a giudicare da quello che ne scrivono Luciano Vasapollo e
Rita Martufi.[29] La guerra,
per lei, è una pazzia. Questa è sicuramente una visione del mondo molto
fragile, e chi la coltiva si mette subito in agitazione quando la vede
incrinarsi. Questo timore è la ragione per cui in tutti questi decenni la
Carovana del (n)PCI ha sempre trovato porte sbarrate nel cordone di
casematte della sinistra borghese. Però, come è fragile la concezione, fragili
sono le casematte, e compagni e compagne della Carovana del (n)PCI devono
imparare quanto è semplice conquistarle, tenendo presente che queste battaglia
non sono mai fatte contro i vari individui che oggi stanno nella sinistra
borghese, ma contro le concezioni che la sinistra borghese coltiva tra le masse
popolari, diffondendo pessimismo, fatalismo, depressione e rassegnazione, (vedi gli “errori e orrori del comunismo” di Bertinotti & Co) e che
la lotta contro queste concezioni è una lotta necessaria per la costruzione
della rivoluzione.
Egidio Giordano
Egidio è di
Insurgencia. Ammetto di avere compreso poco il suo intervento. Secondo lui è
sbagliato fare nomi e cognomi quando si parla di determinati episodi. Penso si
riferisca al fatto che nei comunicati del (n)PCI e del SLL si cita Michele
Franco, ma perché quegli organismi non dovrebbero nominare i soggetti di cui si
sta parlando non l’ho capito. Parla di un cattivo uso dei social network. Non
so bene a cosa si riferisca, ma concordo: lo scontro ideologico e politico deve
avvenire in assemblee come questa, e meno su Facebook e WhatsApp, che diventano
muri del pianto o valvole di sfogo tra “amici”. Dice che il rapporto di
Insurgencia con Michele Franco è sano e che dobbiamo sgomberare il campo da
possibili equivoci, discorsi che probabilmente alludono a fatti ignoti a chi
non è di questa città e parla della necessità di confrontarsi anche con i
documenti. Dico qui che bisogna confrontarsi soprattutto con i documenti, cosa
che la Carovana fa da sempre a fronte di quelli che sono interpellati e non
rispondono mai, o almeno non hanno risposto fino a ora.
Luigi Sito (Giggino)
Sito è Segretario generale del SLL per
il sindacato di classe. È un po’ emozionato, perché è la prima volta che
interviene in pubblico dopo un anno in cui si è tenuto da parte. Riprende
quanto scritto a Maria Pia Zanni l’8 gennaio.[30] Secondo Sito
affermare di essere comunisti e negare che la rivoluzione socialista è
possibile è falso, indegno e immorale di fronte a quelli che per il comunismo danno
e hanno dato la vita. Si riferisce a un compagno scomparso un mese fa, Vittorio
Agnino, che non si è fatto incastrare dai grilli parlanti e dalle loro
trappole. Vittorio, prima di morire, gli passò un biglietto dove stava scritto:
“Nuje vincimmo” e continuava, in lingua napoletana, per dire a Sito, il suo
dirigente, che come avevano vinto nella lotta per il lavoro avrebbero vinto
nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Queste, dice Sito,
sono parole che devono fare riflettere quelli che hanno seguito il feretro di
Vittorio Agnino al suo funerale, a Napoli. Sito critica quelli che qui dicono
che siamo vecchi. Il nuovo, dice, è già nato, altro che “non può nascere”! Noi
siamo quelli di cui parlava la Carovana del (n)PCI quando negli anni ’80
pubblicò Il
proletariato non si è pentito, dice, e aggiunge che noi non facciamo
neanche un passo indietro. E ora di smetterla di lamentarsi dei problemi del
mondo! Sente tanti che fanno i filosofi, ma filosofi veri non sono quelli che
dicono come stanno le cose, ma quelli che il mondo lo trasformano!
Luigi Sito, con questo suo discorso,
avrebbe fatto contento Gramsci, che diceva “Che tutti i membri di un partito
politico debbano essere considerati come intellettuali: ecco un‘affermazione
che può prestarsi allo scherzo; pure, se si riflette, niente di più esatto.”[31]. Sito pure
se ancora non ha imparato bene a scrivere in italiano, ha idee chiare e forti,
e quindi è un vero intellettuale, più del famoso Zygmunt Bauman interprete di
Gramsci amato da RdC, che sfido parecchi di quelli che sono in questa assemblea
a capire quello che dice. Sito invece lo capiscono tutti e subito, anche io
anche quando parla napoletano.
Alfonso de Vito
De Vito dice che chi ha aggredito
Franco è pazzo. A Franco riconosce continuità nella sua azione politica.
Riconosce che esiste un “deficit” riguardante l’aggregazione “rivoluzionaria”
in Italia e magari anche in Europa. Intende che la classe operaia o le masse
popolari o qualcosa d’altro che lui intende non hanno un punto di riferimento
come fu, ad esempio, il vecchio PCI, immagino. Lui si pone la cosa come un
problema, anche se non lo fa come fanno RdC e P.CARC. Lui ha trovato
inopportuno il modo in cui il P.CARC ha messo in relazione le cose. Immagino si
riferisca a quella che lui dichiara mancanza di punto di riferimento e al fatto
che, mancando questa, c’è chi si esprime in modo inconsulto.
Sergio Cararo
È responsabile della redazione di
Contropiano, dichiara. Quindi è anche responsabile dell’articolo che è stato
pubblicato su Contropiano il 21 gennaio, dove si attacca in modo subdolo anche
in questo caso non si sa bene chi, ma alla fine si fa del danno a una delle
esperienze di solidarietà internazionale più avanzate d’Italia, quella della
solidarietà alla Rivoluzione Bolivariana del Venezuela che ha mente e
cuore a Napoli.[32] Al di là di
questo, di quello che dice qui e di come lo dice, bisogna però apprezzare
Cararo perché a questa assemblea c’è venuto, e questa assemblea non è la solita
conferenza dove il massimo che rischi è di addormentarti, ma è un campo di
scontro. Un riconoscimento, quindi, a chi è venuto per una partita fuori casa.
Cararo pure chiede a chi giovano i
fatti dello scorso Natale, e perché sono successi a Napoli. Dice che sono
successi qui perché Napoli e la situazione del paese dove le lotte sono più
vivaci, con il che invita a supporre che il fatto di Natale sia inteso ad
arrestare questa vivacità. Secondo lui o l’aggressione non è politica (è
“pazzia”) o qualcuno le dà dignità politica (e quindi la rivendica). Lui pensa
che è la seconda delle due, e questo proprio ce l’ha fisso nella testa, dice.
In altre parole, secondo lui il (n)PCI (lui li chiama “quelli di Parigi”)
rivendica il fatto accaduto a Natale. Almeno credo lo pensi, perché una cosa
del genere è tanto assurda che fatico a riportarla per iscritto. Cararo chiude
questo ragionamento con la domanda: “Chi è che trae vantaggio da questa
situazione del cazzo, cumpà? A chi giova, dice, riportare la situazione
indietro di quaranta anni?”
Il dibattito è legittimo, dice, ma se
qualcuno non lo vuole fare non lo fa. A loro, dice, non interessa discutere con
la Carovana del (n)PCI. Per sposarsi bisogna volerlo fare in due, dice.
Del libro Politica e
rivoluzione citato da Paolo Babini dice che ha quattro autori, uno dei
quali è morto, e altri due sono di Rete dei Comunisti. Il fatto che due siano
di RdC, dico io, non significa niente. La storia del movimento comunista è
piena di soggetti che in un certo periodo hanno espresso idee giuste e poi
hanno preso posizioni sbagliate. Parecchi sono addirittura passati al nemico.
Babini sta a leggere quel libro proprio perché sa che Piccioni è di RdC, e la
Commissione Gramsci del P.CARC intende porre in relazione il suo ultimo
intervento al Forum su Gramsci del 2016 con quanto scritto nel 1983, e misurare
le distanze.
Cararo dice poi che ai lavoratori del
dibattito tra P.CARC e RdC “nun je ne po’ fregà de meno”. Continua dicendo che
in Italia ci sono quattro partiti comunisti e “proprio a noi venite a rompe li
cojoni”. Nega di essere disfattista, e a dimostrazione porta tutte le lotte in
cui sono presenti e che promuovono. Dice poi che bisogna fare i conti con
l’oggettività, che è quella che è. Questa è l’unica cosa di tutto il suo
discorso che dice di utile. Significa che la situazione non permette di fare la
rivoluzione. A Roma, a dicembre, ha detto infatti che questa non è una
situazione rivoluzionaria e la dimostrazione è che “si vede”.
“Che cazzo – conclude – questo accade
proprio qua che la lotta è di questo livello, ma tutto questo non sarà più
accettato, poi a Parigi possono dire er cazzo che je pare.”
Giuseppe Aragno
Anche per Aragno, che, ci dirà, di
mestiere fa lo storico, quello che è successo è opera di pazzi o peggio ancora.
Lui, che è storico, si ricorda di quelli che facevano i più rivoluzionari di
tutti e poi si sono messi a parlare con i poliziotti. Dice anche che ci sono
compagni che non sono in condizione di prendere le mazzate. Intende che Franco
è già in età avanzata, e quindi avrebbe minori capacità di recupero di un
giovane, e questo ha fatto ridere tutti quanti.
Mariella Toledo
Trova assurdo che stiamo qui a
discutere delle divergenze tra P.CARC e RdC. Franco, dice, è accusato di essere
stato un dissociato negli anni ’80. Lei in quegli anni era una “irriducibile”,
cioè una di quelle che rifiutarono la dissociazione. Chiede come si fa a
discutere di quegli anni, dato che la fine della lotta armata ha generato
situazioni troppo complesse. Dice che ci sono stati irriducibili che hanno
fatto cose peggiori dei dissociati. Oggi ci sono “dissociati” che tentano di
essere comunisti, e “irriducibili” che sono diventati imprenditori. Franco
interviene, a questo punto, riconoscendo la necessità di tornare a parlare di
quegli anni, in cui lui, informa, era militante dell’Autonomia Operaia.
Salvatore
Non dice il cognome. È dell’ex
Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG). Anche del suo intervento non capisco
molto. Mi pare che consideri negative le prese di posizione del (n)PCI. Infatti
dice che dobbiamo lasciare da parte “assolutismi” e che nessuno deve attaccare
le posizioni altrui. Quanto è accaduto, dice è gravissimo perché ci indebolisce
di fronte alla controparte e parla di un humus che genera gli episodi come
quello di Natale.
Pietro Rinaldi
E’ consigliere comunale. Del suo
intervento purtroppo non ho preso appunti. Mi riferiscono altri che ha detto di
non sapere se è economicista, se è post-comunista, o cosa, ma che pretendeva ci
si trovasse tutti d’accordo sul fatto che Michele Franco nel comunicato del
(n)PCI non andava nominato. Io non vedo perché se uno nomina Franco per dirgli
che siamo solidali non può nominarlo per dirgli che esprime posizioni
sbagliate. In secondo luogo da questo intervento di Rinaldi si vede che lui
così come anche altri seguono con molta attenzione quello che la Carovana
scrive, visto che parecchi ribattono alla critica di economicismo che in quegli
scritti si sta intensificando.
Umberto Oreste
E’ di Sinistra Anticapitalista, mi
dicono. Inizia dicendo che non capisce a cosa questa assemblea serve e che non
è interessato al dibattito che riguarda RdC. Gli dispiace, però, che i CARC si
dichiarino gli unici rivoluzionari perché sono gli unici che parlano di
vincere. Vuole vincere anche lui. Tutti lo vogliamo. Dice che dobbiamo
approfondire l’analisi storica, e che protagonista degli anni ’70 fu il
movimento operaio, non furono le BR.
A Napoli dobbiamo trovare unità
d’azione, e portare il dibattito a livello più elevato. Bisogna che le
differenze vengano fuori, dice, e con ciò contraddice quello che aveva detto
all’inizio, che assemblee come questa, dove le differenze emergono, non
servono. E infatti ha ragione: è per i giovani che dobbiamo mostrare le
differenze in campo, dice, perché comprendano. Mettiamo iniziative in
calendario, al riguardo. Progettiamo e definiamo strategie. Ecco un compagno a
cui la Federazione del Partito deve esporre la sua strategia, e la tattica del
GBP, se già non lo ha fatto. Se non lo ha fatto, metta iniziative in calendario.
Enzo de Vincenzo
È dell’USB. Secondo lui l’aggressione
a Franco è pianificata. Dice che lui i comunicati del (n)PCI non li legge
perché ha altro da fare, ma si smentisce poco dopo, quando dice che non si
sente né economicista né rivendicazionista, il che significa che quanto scritto
in quei comunicati lo ha masticato. Secondo lui, occuparsi degli anni ’70 è
sbagliato. Bisogna stare nel fronte dove si cerca di fermare l’attacco
forsennato della borghesia alle conquiste della classe operaia e delle masse
popolari. Io gli rispondo, se è arrivato a leggere fino a qui, che
quell’attacco è partito negli anni ’70. È utile studiare come il nemico di
classe si è mosso da allora a oggi. Sun Tzu, nel sesto secolo avanti Cristo
scrive:
Se conosci il nemico e conosci te
stesso, non hai bisogno di temere il risultato di cento battaglie. Se conosci
te stesso, ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta soffrirai anche una
sconfitta. Se non conosci te stesso né il nemico, soccomberai in ogni
battaglia.
Fabiola d’Aliesio
È segretaria federale del P.CARC in
Campania. Si dichiara compagna da sempre della Carovana del nuovo Partito
Comunista Italiano e ne è molto orgogliosa, perché nelle nostre organizzazioni,
dice, si studia la storia e se ne fa bilancio. Non ci se ne lava le mani
lasciando che siano i giovani, da soli a “farsi la loro idea”. È un continuo
lamentarsi che questa società è marcia e putrida e poi i giovani invece di
studiare la storia e trarne insegnamento dovrebbero farsi una idea che si
presuppone “loro”, spontaneamente? Il movimento comunista ha oltre 160 anni di
storia. Non è nato 20 anni fa e nemmeno nasce oggi, dice con molta foga. Se
oggi si riprendono pratiche giuste di 40 anni lei dice “evviva!” perché il
movimento comunista di 40 anni fa era certo più forte di oggi che stiamo
lavorando per farlo rinascere.
La compagna intende dire che bisogna
capire perché un movimento forte come quello di allora (ed era ancora più forte
alla fine della Seconda Guerra Mondiale) si è indebolito, e comprendendo le ragioni
di questo indebolimento quel movimento rinascerà. Aggiungo che rinascerà più
forte di allora. Aggiungo anche che è vero che a Napoli i movimenti di lotta
delle masse popolari sono più forti che altrove, ma è vero anche che oggi il
controllo del territorio da parte della criminalità organizzata è forte, e tale
non era affatto negli anni ’70, quando i camorristi si muovevano facendo bene
attenzione a non entrare in conflitto con il movimento comunista.
D’Aliesio vuole parlare di
questo ai giovani qui presenti: “Altro che meglio non parlarne e altro che
dissociarsi! – dice- Io appartengo alla Carovana che non solo non si è mai
dissociata da niente che appartiene alla lotta di classe, ma da sempre abbiamo
difeso e sostenuto i prigionieri politici e coloro che lottano, contro
disfattisti e attendisti, senza se e senza ma, perché ci appartengono, e sono
la nostra storia!” Dice: “Per queste ragioni abbiamo avuto 10 processi per 270
bis [contro le “associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine
democratico”, N. d. R.] e ne siamo fieri! Ed anche questo voglio
trasmettere e insegnare ai giovani!”
Dice: “Condivido quello che scrive il
nuovo PCI perché rompe l'ipocrisia e ha il coraggio di fare dibattito
franco e aperto, perché è questo quello che fanno i comunisti, perché i
comunisti fanno ciò che è giusto e necessario negli interessi delle masse
popolari. La lotta di classe a Napoli è più avanti per certi versi che altrove
e a maggior ragione il dibattito per capire quale strada imboccare è
fondamentale. Smettiamola di banalizzare e facciamo le persone serie:
l'economicismo è una categoria che definisce una precisa deviazione in seno al
movimento comunista, è un'altra cosa dalle lotte rivendicative che sono giuste
e che noi sosteniamo! L'economicismo non è un termine che abbiamo inventato
noi: è una definizione scientifica che appartiene al movimento comunista.
Riformismo e sinistra borghese non erano forse termini che usava Lenin? Lenin non
chiamava in causa i suoi avversari politici, non faceva un dibattito franco e
aperto? E' una pratica propria ai comunisti, a coloro che la rivoluzione
l'hanno fatta per davvero, e quindi noi perchè non dovremmo farlo? Non stiamo
giocando!”
Effettivamente, come disse Mao, la
rivoluzione non è un pranzo di gala. D’Aliesio si rivolge a Cararo che ha
davanti, e che la prega “Fatece campà..” Lei però insiste: “Voi la rivoluzione
non volete farla, e le parole con cui lo dite hanno un significato e un peso, e
lo avete dichiarato. Noi invece vogliamo farla e dare fiducia che si può fare.
E basta con questa ipocrisia, care compagne e cari compagni, e smettiamola di
dire che a Napoli tra compagni ci si vuole bene. Addirittura ci sarebbe un
clima di fratellanza… Le mazzate tra compagni ci sono sempre state e certo
questa non è la prima volta. IL P.CARC solo qualche anno fa ha fatto un
comunicato pubblico per invitare al dibattito pubblico due gruppi di compagni
che si erano presi a bastonate quale misura concreta per evitare che nelle
piazze si sfociasse in guerra fratricida! Ma posso fare un esempio più recente:
il 18 novembre di quest’anno in piazza durante il corteo stava nuovamente
avvenendo che volassero gli stracci e perchè chi aveva tentato di sabotare
quella manifestazione aveva organizzato un'azione diversiva dal corteo per
accaparrarsi i riflettori, mettendo in difficoltà e cercando di fare le scarpe
a chi quel corteo l'aveva organizzato e aveva speso tempo, risorse ed energie
per mobilitare e far partecipare. E pure il 18 novembre abbiamo sostenuto che
dovevamo trattare delle divergenze pubblicamente in un’assemblea e nessuno ha
voluto farlo. Abbiate il coraggio di dire ad alta voce le cose! E invece
no, perché quello che è ampiamente diffuso ed è pratica corrente è il modo di
fare dei cardinali e dei preti: si trama alle spalle, si fa inciucio nei
corridoi, si mandano avanti altri a parlare, si allude, addirittura si
minaccia, ma sempre senza fare nomi. Ditelo chiaramente chi volete minacciare e
di cosa, se avete il coraggio delle vostre azioni e della vostra linea. Noi i
nomi li facciamo perché è giusto, e perché la Questura dovrebbe conoscere i
nomi e i fatti e i proletari no? Perché quando si da solidarietà si fanno i
nomi e quando bisogna criticare una posizione si fanno allusioni? I proletari
non devono sapere quali sono le posizioni e chi le esprime? Noi pensiamo che i
lavoratori, i precari, i disoccupati devono sapere la verità: sono loro i
nostri referenti. E poi, veramente, smettiamola di dire bugie e cambiare
le carte in tavola, anche perché altrimenti non si capisce nemmeno la realtà,
non si fa bilancio serio. Quando hanno schiaffeggiato Massimo Amore non c’è
stata nessuna assemblea pubblica, ma una riunione tra di noi e noi anche quella
volta: abbiamo portato la nostra solidarietà per un gesto che non condividiamo
e che reputiamo sbagliato, così come abbiamo fatto con Michele Franco oggi e
nei giorni scorsi, ma abbiamo detto chiaramente che ciò che avvelena il clima è
la mancanza di dibattito franco e aperto. Oggi siamo noi che stiamo difendendo
Michele Franco, nominandolo e spingendo a trattare apertamente alla luce del
sole le questioni.”
A Cararo, che aveva chiesto perché la
carovana si accanisce proprio contro di loro dice che invece sta portando
avanti la critica con tutte le organizzazioni che si dichiarano comuniste, come
il PC di Rizzo e come altre. È però inutile che glielo dica. Sta scritto anche
nel Comunicato del 5 gennaio del (n)PCI, ma loro non lo hanno visto. Sta
proprio prima e dopo quelle due righe e mezzo su cui si sono fissati. Sono
troppo fissati.
Amedeo Curatoli
Curatoli esordisce parlando della sua
fede profonda nel marxismo leninismo. Dice che Alfonso de Vito è stato
scorretto perché, dice, ha fatto un intervento intelligente e poi subito dopo
se ne è andato via.
Continua dicendo che lui adora le
tessere di partito ma non trova nessuno che condivida la sua tesi sulla Cina
che sta andando avanti sulla strada del socialismo. Quanto agli scontri fisici,
non vede ragioni di tutto questo baccano e rivendica tutte le mazzate che ha
dato ai trotzkisti a suo tempo, al che suscita una reazione molto arrabbiata di
uno che non conosco. Appena riesce a parlare di nuovo dice che non gli è
piaciuto l’intervento di Rosario [Marra, N. d. R.] perché non è stato per
niente rigoroso. Dice che ci sono divergenze profonde entro il movimento, e che
dobbiamo avere scienza. Siamo stati testimoni di un grande movimento comunista,
di due grandi rivoluzioni, e il patrimonio che ci viene consegnato dobbiamo prenderlo,
altrimenti siamo degli stupidi.
Michele Franco
Chiude dicendo che la discussione
voleva toccare i nodi che sono venuti fuori stasera. Dice che continueranno con
le azioni di lotta, e che decideranno loro con chi continuare il dibattito. Al
riguardo, tenga conto che il dibattito si fa con chi è su posizioni differenti
dalle nostre
RdC intende continuare a farlo con gli
intellettuali delle università borghesi, i “filosofi” che si limitano a descrivere
la società, di cui parla Sito, tipo il Bauman qui citato più volte,
secondo il quale la società è “liquida”? Tu che dici, Luigi Sito, è liquida
oppure ribolle e si sta trasformando in vapore?
Oppure RdC intende fare il dibattito
solo con quelli che danno loro ragione? Senz’altro no: questo non è dibattito.
Conclusioni
Questo è un resoconto molto lungo, e
ringrazio per l’attenzione e la pazienza chi è riuscito ad arrivare fino a qui.
La lunghezza era necessaria. È come quando si entra in una casa abbandonata da
mezzo secolo dove bisogna rimettere in ordine e ripulire. Una squadra di
pulizie ci metterebbe minimo una settimana. Questo documento, per quanto lungo,
è solo un inizio e non riesce nemmeno a descrivere la ricchezza dell’evento, i
commenti che lo hanno accompagnato e la gioia di tanti compagni e compagne
contenti e fieri di fare parte di un movimento comunista che rinasce e cresce.
La risposta a tutti loro e alle masse popolari di questo paese e la
continuazione di quanto detto al Filangieri il 12 gennaio è promessa che
continueremo fino alla vittoria. Il futuro è luminoso. Viva il Governo di
Blocco Popolare! Avanti con la costruzione della rivoluzione! Viva la Carovana
del (n)PCI e la rinascita del movimento comunista italiano e internazionale!
Paolo Babini
Commissione Gramsci del Partito dei
CARC
[2] “La sinistra borghese è
quella congerie di uomini politici, di sindacalisti, di preti di buon cuore e
di intellettuali che denunciano e persino sinceramente si indignano di fronte
ai mali della società borghese, ma vi oppongono misure, regole e leggi che
restano all’interno delle relazioni proprie della società borghese, costruite
attorno e sulle fondamenta delle aziende capitaliste che producono beni e
servizi per valorizzare il proprio capitale (fare profitti). E proprio per
questo per lo più restano misure, regole e leggi sulla carta, perché “i mali
della società borghese” non esistono a caso, non sono sconnessi tra loro
(semplicemente e a caso l’uno accanto all’altro), né sono venuti al mondo
principalmente ognuno per l’ignoranza o la malvagità personale dei suoi fautori
e promotori. Grazie al materialismo dialettico abbiamo imparato che ognuno di
essi è uno sviluppo naturale (cioè conforme alla natura) della società borghese
ed è organicamente connesso agli altri suoi aspetti. Se accettate il maiale,
dovete accettare anche il suo odore! Nel migliore dei casi lo correggerete con
un po’ di profumo che fa quel che può!” (La Voce del
(nuovo)PCI, n. 44, luglio 2013, p. 52)
[3] Giorgio Gaber, Al bar Casablanca, in
Far finta di
essere sani, 1973-1974, in https://www.youtube.com/watch?v=Re7mzbvFY-w
[5] Questo tipo di atteggiamento in
qualsiasi attività umana è considerato assurdo: non basta attendere la
rivoluzione per chiamarsi rivoluzionario. Chi sta a tavola ad attendere che gli
venga portato il pasto non si definirebbe mai non solo cuoco, ma nemmeno
cameriere.
[6] Le masse popolari non possono essere
usate come massa di manovra nel processo di costruzione della rivoluzione.
Devono esse stesse imparare a dirigersi e a dirigere.
[7] La strategia per la rivoluzione è la
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Vale per tutti i paesi del
mondo, ma nei paesi imperialisti ha una forma differente da quella che ha nei
paesi neocoloniali. Dato che si tratta di materia nuova, per comprenderla
bisogna studiare. Al riguardo vedi il Manifesto Programma
del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pp. 197-208). La
strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è elaborazione
scientifica del maoismo, ma è stata studiata anche da Gramsci, che la chiama
“guerra di posizione”.
La strategia della guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata è fatta propria dalla Rivoluzione Bolivariana
del Venezuela: In diretta su VTV Maduro dirige le esercitazioni antimperialiste
della FANB, la Forza Armata Nazionale Bolivariana: "La Guerra Popolare di
Lunga Durata è la dottrina della FANB", ha affermato. https://www.facebook.com/NicolasMaduro/videos/1916512588579215/.
Vedi anche https://albainformazione.com/2017/01/13/17116/: “L'ultima
speranza per le classi dominanti in Venezuela è l'intervento straniero sotto la
direzione dell'imperialismo. Lo sanno bene i nostri dirigenti, quindi non è
nulla di peregrino l'installazione del Comando Speciale Anti-golpe e nemmeno il
riferimento del Generale Vladimir Padrino López alla Guerra Popolare di Lunga
Durata. Un popolo previdente vale per due.”
[9] Informazioni su Bauman in http://www.wired.it/attualita/media/2017/01/10/pensiero-bauman-5-punti/.
[10] Vedi http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav66/avvnav66.html
e
http://rinascitadigramsci.blogspot.it/2016/12/il-vecchio-muore-e-il-nuovo-non-puo.html.
[11] Vedi in
http://rinascitadigramsci.blogspot.it/2017/01/la-segreteria-federale-della-campania.html
[12] La Voce del
(nuovo)PCI, n. 54, novembre 2016, p. 20, in http://www.nuovopci.it/voce/voce54/nel2017.html
[13]Comunicato del Comitato centrale 1/2017 - 5 gennaio 2017, in
http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2017/com.CC_01_17.01.05_CCNL.html
[14] L’appello viene raccolto il 5 di gennaio
da un comunicato dell’appena costituito Laboratorio Comunista Casamatta, (ma da
dove, se nel sito RdC c’è scritto 8 gennaio?), anche se sbagliando data:
“raccogliamo l'invito rivolto dai compagni della Rete per una pubblica
assemblea sulla situazione e chiamiamo tutte e tutti a parteciparvi, giovedì 12
dicembre ore 17.00 presso l'Asilo Filangieri!”
[15] “Il materialismo dialettico offre ai
comunisti strumenti importanti per comprendere e condurre coscientemente la
trasformazione della società capitalista in società comunista. Esso è stato ed
è alimentato dal bilancio dell’esperienza di questa trasformazione. Il
materialismo dialettico è la filosofia del partito comunista.” (Manifesto Programma
del (nuovo)PCI, cit., p. 265.
[16] Quaderni del carcere
a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 2001 (prima ed. 1975), Torino p. 1377.
[17] Per informazioni su Massimo Amore
vedi Alcune
massime amare: Ancora sul materialismo dialettico e la rivoluzione socialista, in
La Voce del
(nuovo)PCI, n. 51, pp. 57 e seguenti, in http://www.nuovopci.it/voce/voce51/masamare.html.
Massimo Amore ha operato entro la Carovana del (nuovo)PCI dal 1994 all’ottobre
2014. Oggi opera nel Laboratorio Comunista Casamatta citato sopra. È stato
presente nella prima parte dell’assemblea del 12 gennaio, dove non è
intervenuto.
[18] “se qualcuno dice che la rivoluzione
socialista è possibile, o è da neurodeliri o è un poliziotto” è stato uno dei
fili conduttori del discorso che Rizzo ha tenuto al Congresso Regionale del PC
a Bologna il 9 dicembre” (Comunicato del Comitato centrale 1/2017, cit.)
[19] Consentitemi, compagni e compagne, di
ricordare con affetto uno dei più pazzi di tutti, un amico carissimo, di nome
Carlo, con cui una volta ebbi uno storico scontro dove mi costrinse alla fuga e
a rinchiudermi in una stanza di cui spaccò da fuori la vetrata a colpi di
bastone, a Serravalle di Bibbiena, in provincia di Arezzo, e che un’altra
volta, a Firenze, cercò di strangolarmi.
[20] Manifesto Programma
del (nuovo)PCI, cit., p. 35. Pure Lenin e Stalin condividevano questa
affermazione, e infatti attendevano la rivoluzione nei paesi come la Germania e
l’Italia per poter affrontare con maggiore facilità la costruzione del
socialismo in URSS.
[22] Pennacchio pure, come Amore, si è
formato nella Carovana del (n)PCI. E’ stato membro della Direzione Nazionale
del Partito dei CARC. Va segnalato che molti componenti del suo organismo sono
ex componenti del P.CARC. Il P.CARC con questo organismo svilupperà politica da
fronte in ogni ambito possibile. Contrasterà una tendenza che è possibile si
manifesti, quello di trovare unità nell’essere contro il P.CARC. Lo abbiamo
sperimentato nella Prima Lotta Ideologica Attiva, quando la destra che fu
espulsa dal Partito e si costituì come organismo prendendo il nome di
Linearossa per un lungo periodo di tempo tutto quello che sapeva fare sul piano
ideologico era attaccare la Carovana del (n)PCI. Come era prevedibile,
quell’organismo non ha avuto vita lunga. Un organismo comunista vive solo se sa
per cosa sta lottando, e non se ripete contro cosa sta lottando.
[23] Mi dicono però che Sorge se ne è
andato quasi subito dopo il suo intervento, quindi non ha seguito il dibattito
da lui richiesto.
[24] Autori sono Andrea Coi, Prospero
Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti, militanti delle Brigate Rosse
per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
[25] Il proletariato non
si è pentito, a cura della comunista Adriana Chiaia, è uno dei contributi
più organici contro la dissociazione dalla lotta di classe. La Chiaia era una
nota esponente del Coordinamento. Tesi fondamentale della sua opera di oltre
600 pagine è che, per quanto molti ex rivoluzionari ora si dissocino, “il
proletariato in quanto classe non può dissociarsi dalle condizioni materiali
della propria esistenza se non trasformando l’intera società”. Adriana Chiaia è
stata arrestata insieme a Giuseppe Maj nell’ambito dell’ondata repressiva del
1985. Il volume è edito dalle Edizioni Rapporti Sociali.
[26] I compagni delle BR criticano chi
lavora per “la disgregazione del movimento rivoluzionario, perché propaganda
l’individualismo come il nuovo, e
l’organizzarsi collettivo come il vecchio.” (p.
8)
[28] Si tratta dell’idea del magistrato
Pietro Calogero secondo il quale una serie di dirigenti dell’Autonomia erano le
“menti” delle Brigate Rosse, sicché iniziò una lunga persecuzione nei loro
confronti a partire dal 7 aprile 1979, arrestandone parecchi, e primo fra loro
Toni Negri, professore all’università di Padova.
[29] Il (nuovo)PCI scrive dei due: “La
coppia tira in campo Gramsci travisato per mettere in bocca a Chávez un
discorso melenso: “la rivoluzione socialista è un profondo atto d’amore” e loro
due sognano di riprodurne uno analogo sulle rive del Mediterraneo con “la
costruzione di una società socialista pacifica”, senza neanche preoccuparsi di
avere almeno il governo del paese!” (Avviso ai Naviganti 66, cit.)
[30] Vedi in http://rinascitadigramsci.blogspot.it/2017/01/luigi-sito-giggino-dice-maria-pia-zanni.html.
Maria Pia Zanni è una importante dirigente USB, presente all’assemblea del 12
gennaio.
[31] Quaderni del carcere,
cit., p. 1523. Gramsci aggiunge: “Sarà da fare distinzione di gradi, un
partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di
quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e
organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale.” Questo è per noi del
P.CARC: nel partito si impara a diventare dirigenti, educatori e formatori.
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