"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

domenica 15 gennaio 2017

RESOCONTO E COMMENTI SULL'ASSEMBLEA DEL 12 GENNAIO A NAPOLI SULL'AGGRESSIONE SUBITA DA MICHELE FRANCO A NATALE E SULLE DIVERGENZE TRA LA RETE DEI COMUNISTI E NOI



Una premessa generale

Il 12 gennaio, dalle 17.30 fino alle 20 circa si è tenuta all’ex Asilo Filangieri di Napoli una assemblea bella, vivace e istruttiva, indetta da Rete dei Comunisti (RdC) su un episodio successo a Natale, e cioè l’aggressione a Michele Franco, esponente di Rete dei Comunisti, organismo che ha centro a Roma e che da alcuni mesi la Carovana del (n)PCI indica come un centro importante dove si producono e si diffondono disfattismo e attendismo, due tendenze che sono di ostacolo alla costruzione della rivoluzione, che periodicamente ricompaiono nella storia del movimento comunista e che vanno tolte, perché dove sono state tolte la rivoluzione ha vinto.[1]
Questo documento è lungo, perché serve che da quello che sta accadendo quanti più compagni e compagne traggano insegnamento. È documento di studio, che richiede da chi legge attenzione e passione. I documenti che riguardano la storia della lotta di classe sono materia di studio viva, che ha un valore di verità e di efficacia (di utilità a chi li studia) molto alto, all’opposto delle materie insegnate nelle università borghesi, e in particolare delle materie riguardanti le scienze politiche, economiche, filosofiche. La rivoluzione in corso è anche rivoluzione scientifica. La scienza elaborata dal movimento comunista dalla sua fondazione a oggi consente una visione delle cose con sguardo d’aquila, mentre nelle università borghesi quello che ci danno in pasto sono come avanzi che il commensale gentilmente offre al gatto o al cane.
I lavoratori e tutti gli elementi avanzati delle masse popolari sono interessati alle battaglie ideologiche in corso. Ci fosse disinteresse, all’assemblea del 12 gennaio sarebbero venuti in dieci, e non in cento. I lavoratori e gli elementi avanzati delle masse popolari non disprezzano la discussione sulle questioni di principio, le questioni ideologiche, le questioni filosofiche. Disprezzano la cattiva filosofia, quella di chi si limita a descrivere le cose come stanno, di chi dice che si starà a vedere e “intanto vediamo come io me la cavo”. Apprezzano la filosofia di chi trasforma il mondo, del partito che trasforma il mondo, il loro partito. Capiscono bene questa filosofia, ne capiscono bene l’uso nelle battaglie entro il movimento comunista tra chi vuole costruire la rivoluzione e chi no, si appassionano a queste battaglie perché rompono contro una falsa unità secondo la quale saremmo tutti amici, magari a discutere delle varie opinioni sulla rivoluzione e tutto il resto, che sarebbero tutte opinioni legittime, magari differenti tra di loro, ma unite sull’idea che non è mai il momento di attaccare, mai il momento della riscossa, di vincere. Quelli che si uniscono a quel modo sono uniti tra di loro e separati dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari.
Questo documento, quelli che lo hanno preceduto e che sono qui citati e quelli che seguiranno, sono rivolti ai lavoratori e agli elementi delle masse popolari che vogliono capire, aprirsi e lasciarsi conquistare dal nuovo che sta nascendo.

Una premessa particolare, sulla dissociazione

L’aggressione a Michele Franco è stato un episodio che non abbiamo potuto conoscere in dettaglio, se non per il fatto che gli aggressori erano tre, che il motivo dell’aggressione risaliva ad antichi dissidi, di molti decenni fa, riguardanti il fatto che Franco negli anni ’80 dello scorso secolo si dissociò, cosa che di lui dicono e che lui nega, e sulla quale chi non è di Napoli non può intervenire perché non sa. Franco ha dichiarato che è disponibile a discutere della cosa con chiunque: andiamo al bar a prendere un caffè e se ne parla, dice. Non è questo il modo per discutere di una cosa così importante come la dissociazione, fenomeno che seguì al pentitismo e con cui lo Stato della borghesia imperialista attaccò il movimento rivoluzionario in quei decenni, e in particolare modo le Organizzazioni Comuniste Combattenti e ancora più in particolare le Brigate Rosse.
La Carovana del (n)PCI in quegli anni era il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione, e si forgiò in una lotta contro la dissociazione. Il Coordinamento ingaggiò una dura lotta politica per arginare il dilagante fenomeno del pentitismo e della dissociazione dalla lotta di classe, individuato e denunciato come causa principale del pessimismo e del disfattismo sempre più diffuso tra le fila del movimento comunista.
Quelli che rifiutavano di pentirsi e dissociarsi, e che furono chiamati dalla propaganda borghese “irriducibili”, erano compagni del tutto interni alla continuità rivoluzionaria, mentre la dissociazione era un progetto che favoriva l’attacco della borghesia contro il movimento comunista e proletario. Dissociarsi significava aderire al potere costituito e illudere il proletariato che era ancora possibile utilizzare lo stato borghese per riformare il sistema capitalista. Dissociarsi significava iniziare la cantilena del “siamo stati sconfitti, la borghesia ha vinto, non è possibile fare la rivoluzione, la classe operaia non è un soggetto rivoluzionario, il capitale ha un piano e lo attua, il mondo è cambiato”. È la cantilena che ancora sentiamo ripetere dalla sinistra borghese[2], che iniziò ad affermarsi allora, e i cui caratteri sono

  • la concezione dei comunisti come sponda (gruppo di sostegno delle rivendicazioni e richieste degli operai e delle masse popolari in generale) nelle istituzioni del sistema politico del nostro paese,
  • la concezione secondo cui capitale agisce con un piano,
  • il superamento della forma partito,
  • il disprezzo per la teoria rivoluzionaria,
  • il riformismo elettorale e
  • il politicantismo.

Contrastando pentitismo e dissociazione il Coordinamento contrastava la frammentazione interna al proletariato creando un vasto movimento di solidarietà verso i compagni che dentro le carceri resistevano alle torture e alle lusinghe della borghesia senza pentirsi o dissociarsi. Ciò non significava condividere nel dettaglio le posizioni politiche di ogni comunista prigioniero. Significava delimitare il campo in due parti: da una parte la borghesia con i suoi servi, dall’altra le masse popolari e le loro avanguardie comuniste.
È evidente, Michele Franco, che tutto questo non è cosa da trattare in una situazione da “quattro amici al bar” o da “bar Casablanca”.[3] Va fatto in iniziative pubbliche, e il P.CARC lo sta facendo, con le iniziative di presentazione in più parti d’Italia de Il proletariato non si è pentito, documento prodotto nel 1984 dal Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione, e di Cristoforo Colombo, testo pubblicato nel 1988, con cui alcuni protagonisti fanno un bilancio dell’esperienza delle Brigate Rosse e tracciano linee di sviluppo del processo rivoluzionario.[4] Invitiamo te e tutti a partecipare.
Quanto all’episodio del 25 dicembre scorso, si tratta di un modo sbagliato di trattare le contraddizioni in seno al popolo, che non sono antagoniste. L’aggressione è un gesto inconsulto, e il venire alle mani indica l’arretratezza della situazione politica. Chi mena è arretrato perché chi dice di essere avanzato, chi si dichiara comunista, non gli ha dato strumenti sufficienti per avanzare nel comprendere le contraddizioni in campo e risolverle. È come quando leggiamo qualcosa scritto male in italiano da una donna o un uomo delle masse popolari: o siamo comunisti, e ci diamo da fare per insegnargli a scrivere, o non lo siamo, e lo deridiamo e lo disprezziamo per la sua ignoranza.

Il contesto

Il contesto in cui si è svolta questa assemblea è la battaglia intrapresa dalla Carovana del (nuovo)PCI contro le posizioni attendiste e disfattiste di cui Rete dei Comunisti è espressione di avanguardia. “Attendisti” sono quelli che aspettano che la rivoluzione scoppi, come fosse un fenomeno naturale, un fulmine, ad esempio. Si dividono tra quelli che ancora non sanno che la rivoluzione invece è un azione sociale, qualcosa che va costruito e quindi richiede volontà e scienza, e quelli che non lo vogliono sapere e che vogliono mantenere in questa ignoranza tutti quanti. “Disfattisti” sono quelli che dicono che la rivoluzione non è possibile, o meglio, che non è possibile oggi, che ci sarà ma non si sa quando, e così possono chiamarsi anche loro rivoluzionari, come se per essere rivoluzionario bastasse restare in attesa dell’evento.[5]
Attendisti e disfattisti sbagliano e dicono il falso, perché la rivoluzione non solo è possibile, ma è in corso. La rivoluzione socialista è un processo, che si conduce come una guerra, fatta di campagne che si compongono di tante battaglie e di cui la conquista del potere è solo la conclusione, così come il numero mille è l’ultimo millesimo di una serie di millesimi iniziata con il numero uno, che dei millesimi è il primo. È un processo che richiede la una partecipazione delle masse popolari cosciente. [6] È un processo che richiede il tempo necessario, che può essere molto. È quindi una guerra, una guerra rivoluzionaria, una guerra popolare, una guerra di lunga durata.[7] Si conclude con la conquista del potere, ed è, tra le altre cose, conquista del cuore e della mente delle masse popolari. È in atto, perché inizia con la costituzione del partito comunista, e quindi le forze riunite nella Carovana del (n)PCI imparano a condurla nel modo sopra descritto dalla data della costituzione del (nuovo)PCI, e cioè dal novembre del 2004.
Tutto questo può risultare strano e nuovo, perché non corrisponde a quanto abbiamo già saputo e sentito della rivoluzione, ma il fatto è che la rivoluzione in un paese imperialista quale l’Italia è non è mai stata fatta, e per farla bisogna sperimentare nuovi strumenti, fare nascere il nuovo, e quindi provare a camminare, cadere, alzarsi, ricadere e rialzarsi, ma cosi avanzare, e guadagnare infine stabilità e fierezza, quale abbiamo sentito ad esempio, nell’assemblea del 12 gennaio nell’intervento di Luigi (Giggino) Sito, segretario generale del Sindacato Lavoratori in Lotta per il sindacato di classe.

Le ragioni per cui RdC ha indetto questa assemblea

L’assemblea si è svolta in un corridoio dell’ex Asilo, che è una struttura imponente nel centro di Napoli con sale anche molto ampie.  Al nostro arrivo, erano state disposte un venticinque di sedie, segno che RdC non attendeva una grande partecipazione, probabilmente non la desiderava, probabilmente non desiderava nemmeno fare questa assemblea. Perché l’ha fatta, allora?
Non l’ha fatta per la “gravità dell’episodio”. Cose manesche ce ne sono a Napoli e altrove, a volte si mette anche mano ai coltelli, intellettuali come Luciano Vasapollo, di Rete dei Comunisti, a Roma prendono a sberle la gente in pubblico, pure il compagno Sito di cui parlo sopra qualche tempo fa è stato aggredito a Napoli proprio come è successo a Franco,[8] ma nessuno ha fatto assemblee, anche quando il P.CARC ha sollecitato a farle. Lo stesso Franco fu aggredito insieme a un altro, Massimo Amore, non molto tempo fa e tutto quello che si fece fu una riunione ristretta, con un venticinque presenti circa, come quelli probabilmente attesi il 12 gennaio scorso.
Come si sono svolti gli eventi? Riassumo in breve. Dall’estate RdC viene incalzata da aggregati della Carovana del (n)PCI, che criticano con insistenza crescente e in modo diretto le sue posizioni attendiste e disfattiste. RdC non risponde ad alcuno. A dicembre RdC fa un convegno dove distorce Gramsci per alimentare il disfattismo di cui è campionessa: dice che secondo Gramsci “il nuovo non può nascere”, il che non solo è sbagliato, ma anche falso, nonostante sulla cosa ci marcino gli intellettuali borghesi più rinomati, come ad esempio un Zygmunt Bauman morto la scorsa settimana.[9] Il (nuovo)PCI risponde il 15 dicembre e la Commissione Gramsci del P.CARC il 16 e il 17 dicembre, e viene ristabilita la verità sull’argomento.[10] Il 23 dicembre il SLL, per bocca del suo Segretario generale, critica Franco che disfattista era nel 1992 e disfattista è oggi, a giudicare dall’aggregato in cui sta. Il 31 dicembre la Segreteria federale campana del P.CARC dichiara solidarietà all’Unione Sindacale di Base per quanto accaduto a Franco, che oltre che membro di RdC è dirigente USB, e dice pure che meglio farebbe RdC a rispondere alle critiche che le sono rivolte:

La Rete dei Comunisti mette il veto al dibattito con il Partito dei CARC e le nostre critiche, che esprimiamo pubblicamente alla loro linea politica, vengono percepite e concepite come offese personali e, piuttosto che rispondere e controbattere in maniera pubblica, utilizza il classico metodo della scomunica o denigrazione sotterranea arrivando a manovre di basso livello, come il non dare la parola ai loro cortei o alle loro assemblee. E’ con questo modo di agire che noi pensiamo si alimenta il “contesto di arretramento culturale e politico” che pure l’esecutivo regionale USB denunciava nel suo comunicato di solidarietà a Michele Franco.[11]

Il primo gennaio Franco risponde: “Ringrazio della solidarietà ma non condivido l' analisi che avanzate. Faremo un assemblea pubblica a Napoli dove discuteremo di queste cose e dove siete invitati ad intervenire.” RdC quindi indice l’assemblea su spinta del P.CARC, e per discutere con il P.CARC. Però non lo vuole fare, e questo ce lo dirà Sergio Cararo, responsabile della redazione di Contropiano, organo di informazione in rete di RdC, secondo il quale di una loro discussione con il P.CARC ai lavoratori “nun gliene po’ fregà de meno”, come vedremo di seguito.
Il (nuovo)PCI ha però dubbi che RdC mantenga la promessa fatta da Franco. Infatti i dirigenti di RdC sono quelli che “dichiarano sistematicamente che bisogna studiare, bisogna fare l’analisi di questa o quella questione del passato, bisogna fare il bilancio, ma né l’hanno fatto né lo fanno.”[12]  Il (nuovo) PCI il 5 gennaio scrive: 

“La destra che dirige Rete dei Comunisti e il PC di Marco Rizzo con diverse sfumature e con diverse motivazioni rimandano la rivoluzione socialista a un futuro lontano e indefinito, con la riserva che è tipico della destra che si spaccia per comunista di non formulare mai nettamente le proprie posizioni, così ogni volta che è messa alle strette da argomentazioni inoppugnabili può sempre sostenere che in realtà voleva dire un’altra cosa, diversa da quella che le viene contestata. Non osa difendere apertamente le sue posizioni. Michele Franco (Rete dei Comunisti) a Napoli ha annunciato al Partito dei CARC un dibattito pubblico sullo slogan del Forum RdC di dicembre: se davvero manterrà fede all’annuncio sarà un’eccezione a cui lo ha trascinato il gesto d’indignazione che ha subito a Natale.”[13] 

Saranno queste due ultime due righe e mezzo l’argomento all’ordine del giorno dell’assemblea del 12 gennaio, lette all’inizio da Franco, ribadite sempre da lui alla fine, e riprese da tutti quelli che avevano prenotato per un viaggio su questa linea.
L’assemblea invece era stata indetta, a quanto pare. Il comunicato che la indice è firmato in data 4 gennaio, anche se la data di pubblicazione indicata sopra è dell’8 gennaio.[14] Al di là di questi misteri, va riconosciuto a Franco di avere mantenuto la parola data, e di avere condotto il dibattito in modo regolare, il che non era così semplice, trattandosi in questo caso di una novità, di una assemblea dove effettivamente idee e indirizzi contrastanti venivano fuori senza maschere e diplomazie, differentemente da quelle iniziative dove si susseguono interventi a passerella, dove si dice e non si dice, si lanciano messaggi trasversali a amici e nemici che li capiscono solo gli interessati, si fa sfoggio di eloquenza, si fa l’elenco delle cattiverie del nemico e si fa addormentare la gran parte degli intervenuti.

Gli interventi

Riporto gli interventi in modo in modo di parte, o meglio, di partito, cioè secondo il metodo di conoscenza della realtà (anche di questa realtà) del movimento comunista, il materialismo dialettico,[15] e solamente in parte, perché molte cose mi sono sfuggite.
Mi sono sfuggite perché ci sono cose che sono state dette in napoletano, lingua che capisco ma non troppo bene: questa tendenza a esprimersi in lingua locale, per quanto venga spacciata come genuina e popolare, è la stessa per cui ci si veste in stile “finto povero” o si mangiano come fossero i piatti più raffinati quelli che mezzo secolo fa erano le uniche cose che i contadini poveri potevano permettersi.
È stato giusto dall’ultimo dopoguerra a oggi porre attenzione alla ricchezza dei dialetti e delle lingue delle varie regioni del paese, tutti mezzi di espressione di spontaneità e di varietà, ma oggi l’ignoranza cresce, e il fatto che tanti proletari non sappiano scrivere  nella lingua nazionale e si esprimano solo in dialetto non è espressione di libertà: chi conosce solo un linguaggio compreso entro una area ristretta, potrà parlare dei suoi pensieri e sentimenti solo con un numero ristretto di individui, la sua mente sarà ristretta e sarà ingannato facilmente da quelli che lo governano, che hanno relazioni sul piano non solo economico e politico ma anche culturale a livello nazionale e internazionale. Gramsci al riguardo scrive:

Se è vero che ogni linguaggio contiene gli elementi di una concezione del mondo e di una cultura, sarà anche vero che dal linguaggio di ognuno si può giudicare la maggiore o minore complessità della sua concezione del mondo. Chi parla solo il dialetto o comprende la lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente di una intuizione del mondo più o meno ristretta e provinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto delle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. I suoi interessi saranno ristretti, più o meno corporativi o economistici, non universali. Se non sempre è possibile imparare più lingue straniere per mettersi a contatto con vite culturali diverse, occorre almeno imparare bene la lingua nazionale. Una grande cultura può tradursi nella lingua di un’altra grande cultura, cioè una grande lingua nazionale, storicamente ricca e complessa, può tradurre qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale. Ma un dialetto non può fare la stessa cosa.[16]

Molte cose mi sono sfuggite perché sono messaggi trasversali che forze politiche in contrapposizione tra loro si mandano in queste occasioni e che le capiscono solo loro. E’ una usanza da Repubblica Pontificia, dove le cose non si dicono direttamente, dove si dice il peccato e non il peccatore, dove il messaggio è retorica in cui parli di tutto e di niente. Che sia roba da Repubblica Pontificia e in particolare roba da gesuiti si fa presto a vederlo: tu prova a cercare un nome e cognome nelle prediche contro i mali del mondo di Bergoglio, quello che tanta sinistra borghese vuole santo subito.
Dato che molte cose mi sono sfuggite e dato che tutte le dico secondo come il partito mi ha insegnato a vederle, tutti quelli che hanno da fare aggiunte o hanno da ridire lo facciano. Quanto maggiori saranno commenti e proteste, tanto meglio sarà.

Michele Franco 
Franco parte dall’episodio di Natale, ma non vuole discutere dell’episodio in sé, dice. Torna quindi a un episodio precedente, in cui quello che più prese ceffoni fu Massimo Amore.[17] Tutti questi episodi, dice Franco, non hanno natura politica. Dice che i suoi aggressori sono stati tre, che gli hanno rivolto epiteti ripetuti in post su Facebook, dice che lui fu in carcere nel 1982, dice che di cosa ha fatto in quel periodo è disposto a parlare con chiunque e soprattutto ai giovani che non conoscono la storia (è qui dove dice che la cosa si può risolvere con una chiacchierata al bar).
Chiede a chi giova l’accaduto, domanda che avrà eco in un monte di interventi successivi. Chi più e chi meno sembra volessero dire che l’azione era cosa ordita contro il movimento di classe dagli apparati repressivi della classe avversa, e che di questo ordire la Carovana del (n)PCI potrebbe essere agente. Uso il condizionale perché si tratta di sibili in cui nome e cognome non si dicono, e meno che mai per una accusa così grave, che però corre da un capo all’altro di forze che cercano riparo e identità tra le rovine del vecchio movimento comunista, come la Rete dei Comunisti da un lato e il PC di Rizzo dall’altro, forze che maledicono chi è all’opera per costruire la rivoluzione. Chi vuole fare la rivoluzione socialista, dicono “o è un pazzo o è un poliziotto”.[18]
Quello che dicono è riferito alla Carovana del (n)PCI? Non possiamo dirlo, perché nelle loro accuse non usano mai nome e cognome, e sempre nascondono la mano con cui lanciano il sasso. Le loro accuse però sono palesemente false, se sono rivolte a noi. È facile mostrarne la falsità per noi che abbiamo smontato le accuse dei tribunali della Repubblica Pontificia. Nella realtà quella vera, infatti,  la Carovana del (nuovo)PCI è nata e cresciuta nella lotta contro gli apparati repressivi dello Stato che a lei hanno dedicato e dedicano una attenzione quale mai è stata dedicata a nessun altra forza politica che si dichiara comunista negli ultimi trenta anni, lotta che ha sempre vinto, tanto che ogni volta che compagni sono stati incarcerati ne siamo usciti più forti di prima. Come è possibile che qualcuno ci chiami poliziotti, a noi che siamo stati attaccati dalla polizia nei cortei e fino a dentro le nostre case? E come è possibile chiamarci pazzi, considerata la mole di studi prodotta nel corso dei decenni, anche quando siamo stati in carcere, raccolta in libri e pubblicazioni con una continuità che non ha uguali nel movimento comunista dell’ultimo mezzo secolo? Resistenza, il foglio del P.CARC, viene pubblicato senza interruzioni da 22 anni. La pubblicazione di La Voce del (nuovo)PCI  dura da 18 anni e non si è interrotta nemmeno quando hanno arrestato membri del Partito tra cui il dirigente del (n)PCI Giuseppe Maj. La pubblicazione delle Opere di Mao Tse tung in 25 volumi è la più completa mai fatta in un paese imperialista. Si tratta di un opera di elaborazione scientifica riguardo alla quale si può anche non concordare, ma esiste ed è sotto gli occhi di tutti. Forse Rizzo ci considera scienziati pazzi, come il dottor Frankenstein o il capitano Nemo che stava ventimila leghe sotto i mari?
Franco dice che gli apparati repressivi hanno seguito tutto quello che è accaduto il 25 dicembre e nei giorni successivi, e che a Napoli c’è una maturità politica che mai ha consentito si arrivasse a “incarognimenti” come quelli di cui sta parlando. La segretaria federale del P.CARC, Fabiola d’Aliesio, lo smentirà in un suo intervento successivo, e anche altri nel corso di questi giorni a voce e nei vari WhatsApp faranno elenchi di fatti a ulteriore smentita delle affermazioni di Franco.
Franco parla del fatto che il movimento napoletano è unito in vari fronti di lotta, come a Bagnoli, come sul terreno dell’antifascismo, come sul terreno elettorale, e in altri campi. Quanto all’unità sul terreno elettorale, risulta che le cose non stanno come dice Franco: ci sono state divergenze importanti, e di Maio, esponente di Insurgencia eletta in consiglio comunale, in piazza è stata trattata in malo modo nel periodo precedente le ultime amministrative. In generale, però, Franco sbaglia a contrapporre l’unità alla espressione delle divergenze tra vari organismi, e i particolare alle divergenze molto nette che la Carovana del (n)PCI ha e avrà cura di spiegare rispetto alla linea della Rete dei Comunisti. L’espressione delle divergenze è sana, e si combina perfettamente con l’unita di azione nelle lotte. Inoltre le divergenze tra Carovana del (n)PCI e RdC sono sul piano nazionale, e quello che accade a Napoli è solo l’espressione napoletana di una battaglia ideologica che riguarda l’intero movimento comunista italiano.
Franco dice che c’è un limite a cui non dobbiamo avvicinarci, e che la solidarietà è a prescindere da queste divergenze. Qui viene fuori che si sta riferendo al (n)PCI, perché si riferisce al passaggio del suo Comunicato del 5 gennaio sopra anticipato che da ora in poi verrà ripetuto in più salse, e che Franco definisce “bizzarro”.
Su questo bisogna fermarsi, e spiegare a Franco quella che per lui è una bizzarria. Dobbiamo comprendere la realtà e spiegarla anche quando si tratta di sberle. Ceffoni ne volano assai entro il movimento comunista, e bisogna studiarli caso per caso. Ci sono quelli che prese Bersani negli anni Settanta quando faceva l’extraparlamentare da uno del servizio d’ordine del vecchio PCI, che lo fecero convertire come accadde a S. Paolo quando cadde dal cavallo, dopodiché che entrò in quel partito e fece la carriera che sappiamo. Ci sono quelli  che prese Bruno Trentin quando venne in piazza S. Marco a Firenze il 22 settembre 1992, cui seguì il lancio di bulloni in piazza S. Croce, il che fu la risposta operaia al famigerato accordo del 31 luglio di quell’anno che, sottoscritto da CGIL-CISL-UIL, sancì la fine della scala mobile e il congelamento delle retribuzioni. Ci sono quelli del 25 dicembre di cui stiamo parlando, che parecchi il 12 gennaio al Filangieri hanno definito segno di pazzia, delirio e simili.
Io andrei cauto nel dichiarare forma di pazzia un fenomeno. Di sberle e anche peggio da parte di pazzi sono esperto, perché ne ho prese parecchie e anche abbastanza forti da ricordarmele ancora, dato che ho lavorato per trentatré anni come assistente con quelli che oggi si chiamano disabili psichici e un tempo si chiamavano pazzi.[19] L’episodio del 25 gennaio è altra cosa da tutto questo. Il (n)PCI lo definisce giustamente gesto di indignazione, e ripetere a voce più o meno alta e stizzita che si tratta di pazzia o complotto non cambia la realtà, che è quella che è ed è indifferente al modo in cui la descriviamo, soprattutto se la descriviamo in modo sbagliato.
Vediamo di analizzare la questione per bene. Prestami attenzione, Michele Franco, e con te tutti quelli che vogliono capire quello che sta succedendo. Il (n)PCI dice: “Una volta date le condizioni oggettive del socialismo, che in Europa esistono da più di un secolo, per la vittoria della rivoluzione socialista il fattore decisivo sono le condizioni soggettive.”[20] Il movimento comunista cosciente e organizzato può quindi costruire la rivoluzione socialista. Anche Gramsci lo dice. Dice che quando esistono “le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti storicamente” lo si deve fare “perché ogni venir meno al dovere storico aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi”,[21] il che significava “una volta che la rivoluzione socialista è possibile, e oggi lo è, va fatta, perché se i socialisti non la fanno i responsabili del fascismo e poi della guerra sono loro”. Sta parlando dei partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale, incluso il PSI, e non parla chiaro perché è in carcere e non lo può fare.
I comunisti devono risolvere storicamente i propri compiti, dice Gramsci: non farlo prepara più gravi catastrofi. I compiti che i comunisti devono risolvere sono posti dal corso della storia e devono essere assolti. La crisi impone che noi lottiamo per fare dell'Italia un nuovo paese socialista. Lo impone a tutti quelli che si dichiarano comunisti. Ripeto il concetto: quelli che si dichiarano comunisti e non assolvono questo compito, dice Gramsci e lo diciamo noi, sono responsabili delle catastrofi. Rete dei Comunisti non solo non assolve il compito di costruire la rivoluzione socialista, ma addirittura dice che è impossibile, e quindi i suoi dirigenti non assolvono i propri compiti e preparano catastrofi, dice Gramsci in questo Quaderno dove fa una critica dell’economicismo che consiglio di leggere a te e a tutti, e anzi potreste farci un Forum, invece di stare dietro a quello che scrivono intellettuali borghesi come questo Zygmunt Bauman, altro esperto di Gramsci di cui avremmo fatto volentieri a meno.
Rete dei Comunisti e altri devono mettersi a fare politica nel campo della lotta di classe, e non scimmiottare i convegni degli intellettuali borghesi citando questo e quello e così via. Fare politica nel campo della lotta di classe significa assumere ruolo dirigente nel paese, porsi come dirigenti in un governo di emergenza, quello che noi chiamiamo Governo di Blocco Popolare e che voi potere chiamare come vi pare, basta che vi assumiate le responsabilità che dovete assumervi.
Se non ve le assumerete, le conseguenze per voi saranno molto amare. Voi state continuando a fare la beata opposizione quando le masse popolari si aspettano che vi facciate governo, e l’indignazione contro chi si attarda nell’assumersi le responsabilità dovute monta, e le sue forme non sono controllabili da nessuno, né da voi, né da noi. Noi tutto questo ve lo segnaliamo. Tutti quelli che il 12 gennaio al Filangieri sibilavano che la Carovana del  (n)PCI sarebbe addirittura mandante di chi va in giro a distribuire ceffoni valgono tanto quanto quelli che accusano i meteorologi di generare il maltempo perché lo prevedono. La Carovana del (n)PCI, Michele Franco, non è una tribù di pellerossa che fa le danze della pioggia. Spero il ragionamento ti sia chiaro. Se non lo è, lo chiariremo in corso d’opera.

Pasquale Pennacchio
Pennacchio[22] parla a nome del Laboratorio Comunista Casamatta. Considerato che l’aggregato si chiama comunista segnalo che valgono per esso i doveri dei comunisti indicati sopra da Gramsci e ribaditi dalla Carovana del (n)PCI. Pennacchio dichiara la solidarietà rispetto alle due aggressioni di cui Franco ha parlato in apertura del suo discorso, e che gli aggressori sono soggetti farneticanti. Secondo lui dobbiamo limitare il dibattito alla città di Napoli. Secondo lui, quindi, la presenza in questa sede di due dirigenti nazionali, Paolo Babini per il P.CARC e Sergio Cararo per la RdC, è superflua. Descrive infine l’occupazione che il suo organismo ha iniziato presso la Galleria Principe, a fianco della occupazione da alcuni anni gestita dall’organizzazione popolare GalleryArt.

Edoardo Sorge
Edoardo Sorge è di un organismo che si chiama Iskra, attivo a Napoli ma anche a Sesto Fiorentino, mi pare, e forse altrove. Dice che quanto è avvenuto non va legittimato. Dice che ci sono comunicati che non aiutano a risolvere le contraddizioni, e intende quelli della Carovana del (n)PCI (anche in questo caso non si fanno nomi). Dice che questa è la sede dove si deve fare il dibattito franco e aperto, cosa che Paolo Babini nel suo intervento dirà più volte di condividere. Questa assemblea infatti è da noi considerata una occasione ottima per fare il dibattito di cui Sorge parla.[23]

Paolo Babini
Paolo Babini è dirigente del P.CARC. Ripercorre alcuni momenti della discussione tra P.CARC e RdC degli ultimi mesi: lui stesso ha scritto una analisi di una relazione di Franco del giugno 2016 e uno studio parecchio lungo delle posizioni di RdC dalle origini a oggi, tutta roba che non ha avuto risposta. Il fatto che ora si arrivi alla discussione sui nodi ideologici di fondo dipende quindi anche dall’episodio del 25 dicembre. Quello è stato un gesto inconsulto, senza dubbio, perché le contraddizioni in seno al popolo non sono antagoniste e non si risolvono a manate, ma anche dai fatti negativi si può trarre vantaggio, e infatti oggi lo facciamo confrontandoci apertamente in questa assemblea.
Babini spiega che bisogna lottare contro la concezione disfattista della rivoluzione socialista in particolare e della lotta di classe in generale: questa concezione è deleteria, dannosa e distruttiva: fomenta tra le masse indignazione e perfino abbrutimento.
È una lotta contro una concezione, non contro individui. Non sono gli individui che creano le concezioni. Ogni concezione esprime e fa l’interesse di classi precise. È un’arma di lotta. In generale (e a Napoli in particolare) c’è la tendenza a identificare (anzi ridurre) la linea e la concezione con gli individui, a mettere in risalto questi e trascurare la concezione e la linea e gli interessi di classe da cui queste nascono. Gli individui cambiano di posizione e di concezione anche rapidamente e più volte, mentre le concezioni e le linee permangono perché ognuna di esse riflette interessi precisi e diversi di determinate classi in lotta e le classi non cambiano che con rivolgimenti sociali e con rivoluzioni che si fanno in un periodo di una certa durata. Da duecento anni a questa parte, aggiungo qui, le classi fondamentali sono borghesia e proletariato. Le classi non cambiano dall’oggi al domani, rapidamente, come invece cambiano posizione, opinione e ruolo gli individui.
Aggiungo anche che la concezione disfattista è una costante.  “La situazione attuale non è né rivoluzionaria né prerivoluzionaria” è la tesi proclamata dalla Confederazione dei Comunisti/e Autorganizzati promossa da Giorgio Riboldi e Leonardo Mazzei nel 1998 con cui il numero 1 di La Voce (marzo 1999) inizia l’esposizione dell’analisi della situazione in cui si è costruita la Carovana. Noi diciamo e dimostriamo che oggettivamente siamo in una situazione rivoluzionaria, in un corso catastrofico delle cose e che sta a noi far montare la maionese della lotta di classe, rafforzare con operazioni sinergiche e concatenate le nostre forze della rivoluzione fino allo scontro decisivo che instaureremo il socialismo. Certo allo scontro decisivo non ci siamo ancora arrivati. I disfattisti e gli attendisti deducono che la rivoluzione socialista non è possibile. Invece bisogna proseguire la rivoluzione, farla avanzare, studiare ogni operazione, ogni mossa, ogni battaglia in modo da raccogliere e migliorare le forze della rivoluzione fino ad arrivare allo scontro decisivo, che sarà una svolta da cui inizierà la costruzione della società socialista, la transizione al comunismo. Ogni campagna, battaglia, operazione, mossa, la lotta pratica e le parole devono essere studiate e fatte per “far crescere la maionese”. Le condizioni oggettive sono favorevoli, fare la rivoluzione o subire e marcire è una questione soggettiva: è una questione di volontà, di concezioni, di linee, di azioni di gruppi e di individui.
Noi e altri della Carovana del (nuovo) PCI, dice Babini, abbiamo più volte denunciato RdC di propagandare e applicare una concezione disfattista della lotta di classe e della rivoluzione socialista. “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere” è stata la parola d’ordine del Forum tenuto da RdC il 17-18 dicembre a Roma.  L’Avviso ai Naviganti n. 66 diffuso il 15 dicembre dal (nuovo) PCI fa un attacco senza riserve a questa concezione, e la nostra Commissione Rinascita Gramsci ha diffuso in occasione del Forum di Roma un volantino dello stesso tenore. Babini ricorda le parole con cui Chávez  si rivolse alle masse popolari che lo ascoltavano in una storica ed oceanica manifestazione del 2007, citando Gramsci e dicendo che il vecchio muore e il nuovo ancora deve finire di nascere. C’è una bella differenza tra il dire che il nuovo non può nascere e che ancora deve finire di nascere.
Non ricordo se Babini lo ha detto, e in ogni caso aggiungo qui che i compagni del SLL hanno fatto notare che la linea disfattista ha un precedente famoso nella posizione liquidatoria assunta nel lontano 1992 dagli allora esponenti dell’OCI tra cui Michele Franco attualmente dirigente nella RdC e nell’USB. Ognuno può ben immaginare quali sarebbero state le conseguenze per i lavoratori di Napoli e oltre se allora, nel 1994, quelle posizioni disfattiste non fossero state respinte e travolte dai lavoratori.
Babini torna sulla questione degli individui. Non ci interessa e siamo convinti che non è importante la continuità degli individui. La storia e l’esperienza lo dimostrano: le concezioni rappresentano interessi delle classi e dei gruppi sociali in lotta. Non invenzioni di individui. Non derivano dagli individui. Tanto vero che gli individui cambiano concezione e condotta. Fa quindi una serie di esempi.
Giacinto Menotti Serrati nel 1919-1920 fu un esponente del disfattismo che ebbe gravi conseguenze per i lavoratori del nostro paese ma poi si corresse e nel 1926 morì ancora giovane (a 50 anni) per un infarto mentre andava in montagna a una riunione clandestina del PCI.
Amedeo Bordiga fu il principale esponente del gruppo fondatore del PCI nel 1921, ma dal 1930 riprese tranquillamente a fare l’ingegnere per tutto il periodo fascista.
Nicola Bombacci segretario generale del PSI dopo il Congresso di Bologna dell’ottobre 1919, partecipò invece nel 1921 alla fondazione del PCI a Livorno, ma finì con Mussolini a piazzale Loreto nel 1945.
Sono solo alcuni degli esempi tratti dall’esperienza del movimento comunista del nostro paese. Tanti altri se ne potrebbero fare, anche dal movimento comunista di altri paesi. Non degli individui, della loro buona o cattiva fede, delle loro caratteristiche dobbiamo parlare, ma delle concezioni e delle linee. Poi gli individui si schiereranno. Gli individui cambiano e cambieranno. Noi siamo fautori della trasformazione degli individui. Ci auguriamo e sappiamo che ogni individuo può migliorare.
La concezione che non è possibile fare la rivoluzione socialista, che non siamo in una situazione rivoluzionaria, che il nuovo non può nascere, corrisponde a una legge della realtà che non possiamo eludere, a una legge oggettiva, come dirà nel suo intervento Sergio Cararo? O è la linea portata tra le masse popolari per frenarle e disgregare, rendere difficile la rivoluzione socialista? Di quale classe rispecchia gli interessi? Questo è il problema che dobbiamo porci.
Quella della rivoluzione impossibile o che “ci sarà un domani”, aggiungo qui, è una concezione che contrasta con i fatti, una concezione sbagliata ma che favorisce la borghesia, ostacola la lotta per far montare la maionese della lotta di classe, per far avanzare la rivoluzione socialista, per trasformare i rapporti di forza, per costruire e rafforzare il potere dei lavoratori d’avanguardia organizzati attorno ai comunisti, per creare un nuovo potere, per raccogliere e far crescere le forze rivoluzionarie fino allo scontro decisivo che eliminerà il potere della borghesia e del clero e instaurerà in tutto il paese la dittatura del proletariato. Ridurre la rivoluzione socialista allo scontro finale e decisivo è il trucco con cui i disfattisti e gli attendisti contrastano la rivoluzione socialista, scoraggiano i rivoluzionari, scoraggiano i lavoratori, li inducono a rassegnarsi e sottomettersi in attesa di una rivoluzione che dovrebbe scoppiare, ma non scoppia. Lo scontro decisivo non arriva mai, se non costruiamo il processo che conduce ad esso. Non cade dal cielo. Non è frutto del destino o del corso spontaneo delle cose. L’esperienza storica ha mostrato che la rivoluzione socialista non scoppia. I soli paesi in cui si è arrivati allo scontro finale e decisivo (e lo si è vinto) sono i paesi in cui i comunisti per anni avevano “fatto montare la maionese” secondo un piano che via via hanno aggiustato. Le rivoluzioni o si organizzano e si conducono passo dopo passo come una guerra, o non ci sono. Anche di fronte agli eventi più favorevoli, i lavoratori perdono. Questa è la lezione della storia. Con quale argomento oggi gli esponenti della RdC vengono a dirci che “il nuovo non può nascere”?
Babini coglie l’occasione per un salto indietro nel tempo, visto che Franco ha parlato di un suo soggiorno nelle carceri nel 1982. Cita un libro del 1983, Politica e rivoluzione,[24] la cui importanza è segnalata dagli organi della propaganda borghese, allora impegnati a preparare il terreno per arrestare membri della Carovana del (n)PCI. Il 22 giugno 1985 il settimanale l’Europeo pubblica un articolo dal titolo “Le loro parole sono ancora di piombo”, firmato dal professor Angelo Ventura, il quale afferma che “la cultura dell’eversione e del terrorismo”, pur attraversando una profonda crisi d’identità, ha ancora spessore, vitalità e diffusione maggiori di quanto comunemente si creda. In particolare, includendo così il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione nel campo cosiddetto terrorista, Ventura scrive:

Le pagine del Bollettino sono aperte al dibattito dell’area eversiva con una scelta che privilegia rigorosamente i documenti dei terroristi irriducibili e delle cosiddette Organizzazioni combattenti, in particolare delle Br. (…) La disponibilità del Bollettino per la lotta armata sembra senza riserve. A essa è collegata l’attività dell’Ing. Giuseppe Maj, editore di un libro-documento dei brigatisti Coi, Gallinari, Piccioni e Seghetti, nonché di un volume dal significativo titolo: Il proletariato non si è pentito.[25]

Il libro è importante perché ha svolto un ruolo importante nella lotta di classe del nostro paese, in particolare contro le sbrodolature di chi, come Renato Curcio, uno dei primi dirigenti delle BR, cominciava a rinnegare addirittura il marxismo. Babini lo cita perché è attuale. Anche qui si parla di vecchio e nuovo, solo che in questo caso il nuovo propagandato come tale in realtà è vecchio.[26] Soprattutto, però si dichiara che si vuole fare lotta ideologica contro quelle che allora furono le posizioni anticomuniste. Contro quelle posizioni, i compagni dal carcere ribadiscono una posizione che è valida ancora oggi, e che condividiamo:

"Proprio oggi, circondati dai disastri prodotti anche dalle più disparate teorizzazioni e pratiche politiche, tutte rigorosamente nuove, post-moderne, neo-metropolitane, dobbiamo constatare come la classe possieda ancora un solo metodo, una sola concezione del mondo e dei rapporti sociali, che l’abbia condotta in qualche parte, seppure temporaneamente, alla vittoria. E visto che il problema principale per il proletariato non crediamo sia esattamente quello di condurre una “vita spericolata”, ma quello di poter decidere il proprio destino, e cioè vincere, recuperare il marxismo-leninismo, abbandonando ogni residua tentazione ideologico-catechistica, vuol dire riallacciare il percorso della nostra rivoluzione a quello storico del proletariato internazionale. Recuperare una mentalità scientifica, politica, vincente, maggioritaria…[27]

Si tratta quindi, dice Babini, di definire cosa è concezione comunista del mondo, e cosa non lo è, e lo è quella che serve a fare la rivoluzione socialista. I quattro compagni delle BR si chiedono alla pagina 9 del loro libro che “la stessa identificazione come comunisti di molti soggetti a questo punto è un bel rebus” e infatti oggi, a trentaquattro anni di distanza, siamo a sciogliere il nodo: diciamo chiaramente che è comunista chi opera per costruire la rivoluzione socialista, e non lo è chi dichiara che la rivoluzione socialista è impossibile, e non lo è chi si mette ad aspettarla. Questa Rete dei Comunisti, quindi, non è comunista, visto che questo dichiara, e questo diciamo qui e continueremo a dire. E’ ora che quelli che si dichiarano comunisti siano coerenti con quello che professano, altrimenti alimentano confusione e disfattismo.


Rosario Marra
Marra, mi dicono, è del Partito di Rifondazione Comunista. A me è parso proprio inviperito per l’intervento di Babini. Dice che quell’intervento è proprio espressione del “vecchio” e che diamo copertura ideologica a non so chi (all’esperienza delle BR, immagino). Dice che stiamo strumentalizzando quanto accaduto il 25 dicembre. Anche lui fa un balzo nel passato e torna al “teorema Calogero”.[28] Ricorda che allora da parte degli arrestati ci fu massima solidarietà verso tutti quelli che erano oggetto della repressione, indipendentemente dalla posizione politica.
Sempre parlando di quell’epoca, dice che a Napoli in quegli anni erano forti i gruppi marxisti leninisti. Dice che leggendo certi comunicati gli pare di sentire quello che dicevano loro a quei tempi. È un linguaggio di 40 anni fa, e a questo lui dice “Basta”! Il suo insegnamento è che i giovani di oggi non devono fare gli errori che fecero loro. Dice che “logiche integraliste” possono fare male anche dopo decenni. Sta parlando del fatto che quelli che hanno aggredito Franco stanno appunto ricordando quello che successe decenni fa. Su questo parlare di quello che successe trenta anni fa lui fa un ragionamento curioso: dice che chi va indietro nel tempo a rimestare il passato ha la stessa logica della borghesia, che a quei tempi torna per continuare ad accanirsi su chi all’epoca fu protagonista dello scontro di classe. Io dico che non si tratta tanto della stessa logica, ma della guerra che nello stesso campo conducono la classe operaia e il suo partito comunista contro la borghesia e i suoi organi della repressione, campo della storia della lotta di classe. È un campo di battaglia da cui la sinistra borghese cerca accuratamente di tenersi a distanza, sia perché odia combattere, sia perché non avrebbe armi per farlo. La borghesia di sinistra è per l’amore universale. Gramsci, per lei, è un apostolo d’amore, un figlio dei fiori, a giudicare da quello che ne scrivono Luciano Vasapollo e Rita Martufi.[29] La guerra, per lei, è una pazzia. Questa è sicuramente una visione del mondo molto fragile, e chi la coltiva si mette subito in agitazione quando la vede incrinarsi. Questo timore è la ragione per cui in tutti questi decenni la Carovana del (n)PCI ha sempre trovato porte sbarrate nel cordone di  casematte della sinistra borghese. Però, come è fragile la concezione, fragili sono le casematte, e compagni e compagne della Carovana del (n)PCI devono imparare quanto è semplice conquistarle, tenendo presente che queste battaglia non sono mai fatte contro i vari individui che oggi stanno nella sinistra borghese, ma contro le concezioni che la sinistra borghese coltiva tra le masse popolari, diffondendo pessimismo, fatalismo, depressione e rassegnazione, (vedi gli “errori e orrori del comunismo” di Bertinotti & Co) e che la lotta contro queste concezioni è una lotta necessaria per la costruzione della rivoluzione.

Egidio Giordano
Egidio è di Insurgencia. Ammetto di avere compreso poco il suo intervento. Secondo lui è sbagliato fare nomi e cognomi quando si parla di determinati episodi. Penso si riferisca al fatto che nei comunicati del (n)PCI e del SLL si cita Michele Franco, ma perché quegli organismi non dovrebbero nominare i soggetti di cui si sta parlando non l’ho capito. Parla di un cattivo uso dei social network. Non so bene a cosa si riferisca, ma concordo: lo scontro ideologico e politico deve avvenire in assemblee come questa, e meno su Facebook e WhatsApp, che diventano muri del pianto o valvole di sfogo tra “amici”. Dice che il rapporto di Insurgencia con Michele Franco è sano e che dobbiamo sgomberare il campo da possibili equivoci, discorsi che probabilmente alludono a fatti ignoti a chi non è di questa città e parla della necessità di confrontarsi anche con i documenti. Dico qui che bisogna confrontarsi soprattutto con i documenti, cosa che la Carovana fa da sempre a fronte di quelli che sono interpellati e non rispondono mai, o almeno non hanno risposto fino a ora.

Luigi Sito (Giggino)
Sito è Segretario generale del SLL per il sindacato di classe. È un po’ emozionato, perché è la prima volta che interviene in pubblico dopo un anno in cui si è tenuto da parte. Riprende quanto scritto a Maria Pia Zanni l’8 gennaio.[30] Secondo Sito affermare di essere comunisti e negare che la rivoluzione socialista è possibile è falso, indegno e immorale di fronte a quelli che per il comunismo danno e hanno dato la vita. Si riferisce a un compagno scomparso un mese fa, Vittorio Agnino, che non si è fatto incastrare dai grilli parlanti e dalle loro trappole. Vittorio, prima di morire, gli passò un biglietto dove stava scritto: “Nuje vincimmo” e continuava, in lingua napoletana, per dire a Sito, il suo dirigente, che come avevano vinto nella lotta per il lavoro avrebbero vinto nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Queste, dice Sito, sono parole che devono fare riflettere quelli che hanno seguito il feretro di Vittorio Agnino al suo funerale, a Napoli. Sito critica quelli che qui dicono che siamo vecchi. Il nuovo, dice, è già nato, altro che “non può nascere”! Noi siamo quelli di cui parlava la Carovana del (n)PCI quando negli anni ’80 pubblicò Il proletariato non si è pentito, dice, e aggiunge che noi non facciamo neanche un passo indietro. E ora di smetterla di lamentarsi dei problemi del mondo! Sente tanti che fanno i filosofi, ma filosofi veri non sono quelli che dicono come stanno le cose, ma quelli che il mondo lo trasformano!
Luigi Sito, con questo suo discorso, avrebbe fatto contento Gramsci, che diceva “Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali: ecco un‘affermazione che può prestarsi allo scherzo; pure, se si riflette, niente di più esatto.”[31]. Sito pure se ancora non ha imparato bene a scrivere in italiano, ha idee chiare e forti, e quindi è un vero intellettuale, più del famoso Zygmunt Bauman interprete di Gramsci amato da RdC, che sfido parecchi di quelli che sono in questa assemblea a capire quello che dice. Sito invece lo capiscono tutti e subito, anche io anche quando parla napoletano.

Alfonso de Vito
De Vito dice che chi ha aggredito Franco è pazzo. A Franco riconosce continuità nella sua azione politica. Riconosce che esiste un “deficit” riguardante l’aggregazione “rivoluzionaria” in Italia e magari anche in Europa. Intende che la classe operaia o le masse popolari o qualcosa d’altro che lui intende non hanno un punto di riferimento come fu, ad esempio, il vecchio PCI, immagino. Lui si pone la cosa come un problema, anche se non lo fa come fanno RdC e P.CARC. Lui ha trovato inopportuno il modo in cui il P.CARC ha messo in relazione le cose. Immagino si riferisca a quella che lui dichiara mancanza di punto di riferimento e al fatto che, mancando questa, c’è chi si esprime in modo inconsulto.

Sergio Cararo
È responsabile della redazione di Contropiano, dichiara. Quindi è anche responsabile dell’articolo che è stato pubblicato su Contropiano il 21 gennaio, dove si attacca in modo subdolo anche in questo caso non si sa bene chi, ma alla fine si fa del danno a una delle esperienze di solidarietà internazionale più avanzate d’Italia, quella della solidarietà alla Rivoluzione Bolivariana del Venezuela che ha mente e  cuore a Napoli.[32] Al di là di questo, di quello che dice qui e di come lo dice, bisogna però apprezzare Cararo perché a questa assemblea c’è venuto, e questa assemblea non è la solita conferenza dove il massimo che rischi è di addormentarti, ma è un campo di scontro. Un riconoscimento, quindi, a chi è venuto per una partita fuori casa.
Cararo pure chiede a chi giovano i fatti dello scorso Natale, e perché sono successi a Napoli. Dice che sono successi qui perché Napoli e la situazione del paese dove le lotte sono più vivaci, con il che invita a supporre che il fatto di Natale sia inteso ad arrestare questa vivacità. Secondo lui o l’aggressione non è politica (è “pazzia”) o qualcuno le dà dignità politica (e quindi la rivendica). Lui pensa che è la seconda delle due, e questo proprio ce l’ha fisso nella testa, dice. In altre parole, secondo lui il (n)PCI (lui li chiama “quelli di Parigi”) rivendica il fatto accaduto a Natale. Almeno credo lo pensi, perché una cosa del genere è tanto assurda che fatico a riportarla per iscritto. Cararo chiude questo ragionamento con la domanda: “Chi è che trae vantaggio da questa situazione del cazzo, cumpà? A chi giova, dice, riportare la situazione indietro di quaranta anni?”
Il dibattito è legittimo, dice, ma se qualcuno non lo vuole fare non lo fa. A loro, dice, non interessa discutere con la Carovana del (n)PCI. Per sposarsi bisogna volerlo fare in due, dice.
Del libro Politica e rivoluzione citato da Paolo Babini dice che ha quattro autori, uno dei quali è morto, e altri due sono di Rete dei Comunisti. Il fatto che due siano di RdC, dico io, non significa niente. La storia del movimento comunista è piena di soggetti che in un certo periodo hanno espresso idee giuste e poi hanno preso posizioni sbagliate. Parecchi sono addirittura passati al nemico. Babini sta a leggere quel libro proprio perché sa che Piccioni è di RdC, e la Commissione Gramsci del P.CARC intende porre in relazione il suo ultimo intervento al Forum su Gramsci del 2016 con quanto scritto nel 1983, e misurare le distanze.
Cararo dice poi che ai lavoratori del dibattito tra P.CARC e RdC “nun je ne po’ fregà de meno”. Continua dicendo che in Italia ci sono quattro partiti comunisti e “proprio a noi venite a rompe li cojoni”. Nega di essere disfattista, e a dimostrazione porta tutte le lotte in cui sono presenti e che promuovono. Dice poi che bisogna fare i conti con l’oggettività, che è quella che è. Questa è l’unica cosa di tutto il suo discorso che dice di utile. Significa che la situazione non permette di fare la rivoluzione. A Roma, a dicembre, ha detto infatti che questa non è una situazione rivoluzionaria e la dimostrazione è che “si vede”.
“Che cazzo – conclude – questo accade proprio qua che la lotta è di questo livello, ma tutto questo non sarà più accettato, poi a Parigi possono dire er cazzo che je pare.”

Giuseppe Aragno
Anche per Aragno, che, ci dirà, di mestiere fa lo storico, quello che è successo è opera di pazzi o peggio ancora. Lui, che è storico, si ricorda di quelli che facevano i più rivoluzionari di tutti e poi si sono messi a parlare con i poliziotti. Dice anche che ci sono compagni che non sono in condizione di prendere le mazzate. Intende che Franco è già in età avanzata, e quindi avrebbe minori capacità di recupero di un giovane, e questo ha fatto ridere tutti quanti.

Mariella Toledo
Trova assurdo che stiamo qui a discutere delle divergenze tra P.CARC e RdC. Franco, dice, è accusato di essere stato un dissociato negli anni ’80. Lei in quegli anni era una “irriducibile”, cioè una di quelle che rifiutarono la dissociazione. Chiede come si fa a discutere di quegli anni, dato che la fine della lotta armata ha generato situazioni troppo complesse. Dice che ci sono stati irriducibili che hanno fatto cose peggiori dei dissociati. Oggi ci sono “dissociati” che tentano di essere comunisti, e “irriducibili” che sono diventati imprenditori. Franco interviene, a questo punto, riconoscendo la necessità di tornare a parlare di quegli anni, in cui lui, informa, era militante dell’Autonomia Operaia.

Salvatore
Non dice il cognome. È dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG). Anche del suo intervento non capisco molto. Mi pare che consideri negative le prese di posizione del (n)PCI. Infatti dice che dobbiamo lasciare da parte “assolutismi” e che nessuno deve attaccare le posizioni altrui. Quanto è accaduto, dice è gravissimo perché ci indebolisce di fronte alla controparte e parla di un humus che genera gli episodi come quello di Natale.

Pietro Rinaldi
E’ consigliere comunale. Del suo intervento purtroppo non ho preso appunti. Mi riferiscono altri che ha detto di non sapere se è economicista, se è post-comunista, o cosa, ma che pretendeva ci si trovasse tutti d’accordo sul fatto che Michele Franco nel comunicato del (n)PCI non andava nominato. Io non vedo perché se uno nomina Franco per dirgli che siamo solidali non può nominarlo per dirgli che esprime posizioni sbagliate. In secondo luogo da questo intervento di Rinaldi si vede che lui così come anche altri seguono con molta attenzione quello che la Carovana scrive, visto che parecchi ribattono alla critica di economicismo che in quegli scritti si sta intensificando.

Umberto Oreste
E’ di Sinistra Anticapitalista, mi dicono. Inizia dicendo che non capisce a cosa questa assemblea serve e che non è interessato al dibattito che riguarda RdC. Gli dispiace, però, che i CARC si dichiarino gli unici rivoluzionari perché sono gli unici che parlano di vincere. Vuole vincere anche lui. Tutti lo vogliamo. Dice che dobbiamo approfondire l’analisi storica, e che protagonista degli anni ’70 fu il movimento operaio, non furono le BR.
A Napoli dobbiamo trovare unità d’azione, e portare il dibattito a livello più elevato. Bisogna che le differenze vengano fuori, dice, e con ciò contraddice quello che aveva detto all’inizio, che assemblee come questa, dove le differenze emergono, non servono. E infatti ha ragione: è per i giovani che dobbiamo mostrare le differenze in campo, dice, perché comprendano. Mettiamo iniziative in calendario, al riguardo. Progettiamo e definiamo strategie. Ecco un compagno a cui la Federazione del Partito deve esporre la sua strategia, e la tattica del GBP, se già non lo ha fatto. Se non lo ha fatto, metta iniziative in calendario.

Enzo de Vincenzo
È dell’USB. Secondo lui l’aggressione a Franco è pianificata. Dice che lui i comunicati del (n)PCI non li legge perché ha altro da fare, ma si smentisce poco dopo, quando dice che non si sente né economicista né rivendicazionista, il che significa che quanto scritto in quei comunicati lo ha masticato. Secondo lui, occuparsi degli anni ’70 è sbagliato. Bisogna stare nel fronte dove si cerca di fermare l’attacco forsennato della borghesia alle conquiste della classe operaia e delle masse popolari. Io gli rispondo, se è arrivato a leggere fino a qui, che quell’attacco è partito negli anni ’70. È utile studiare come il nemico di classe si è mosso da allora a oggi. Sun Tzu, nel sesto secolo avanti Cristo scrive:

Se conosci il nemico e conosci te stesso, non hai bisogno di temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso, ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta soffrirai anche una sconfitta. Se non conosci te stesso né il nemico, soccomberai in ogni battaglia.

Fabiola d’Aliesio
È segretaria federale del P.CARC in Campania. Si dichiara compagna da sempre della Carovana del nuovo Partito Comunista Italiano e ne è molto orgogliosa, perché nelle nostre organizzazioni, dice, si studia la storia e se ne fa bilancio. Non ci se ne lava le mani lasciando che siano i giovani, da soli a “farsi la loro idea”. È un continuo lamentarsi che questa società è marcia e putrida e poi i giovani invece di studiare la storia e trarne insegnamento dovrebbero farsi una idea che si presuppone “loro”, spontaneamente? Il movimento comunista ha oltre 160 anni di storia. Non è nato 20 anni fa e nemmeno nasce oggi, dice con molta foga. Se oggi si riprendono pratiche giuste di 40 anni lei dice “evviva!” perché il movimento comunista di 40 anni fa era certo più forte di oggi che stiamo lavorando per farlo rinascere.
La compagna intende dire che bisogna capire perché un movimento forte come quello di allora (ed era ancora più forte alla fine della Seconda Guerra Mondiale) si è indebolito, e comprendendo le ragioni di questo indebolimento quel movimento rinascerà. Aggiungo che rinascerà più forte di allora. Aggiungo anche che è vero che a Napoli i movimenti di lotta delle masse popolari sono più forti che altrove, ma è vero anche che oggi il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata è forte, e tale non era affatto negli anni ’70, quando i camorristi si muovevano facendo bene attenzione a non entrare in conflitto con il movimento comunista.
D’Aliesio  vuole parlare di questo ai giovani qui presenti: “Altro che meglio non parlarne e altro che dissociarsi! – dice- Io appartengo alla Carovana che non solo non si è mai dissociata da niente che appartiene alla lotta di classe, ma da sempre abbiamo difeso e sostenuto i prigionieri politici e coloro che lottano, contro disfattisti e attendisti, senza se e senza ma, perché ci appartengono, e sono la nostra storia!” Dice: “Per queste ragioni abbiamo avuto 10 processi per 270 bis [contro le “associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”, N. d. R.]  e ne siamo fieri! Ed anche questo voglio trasmettere e insegnare ai giovani!”
Dice: “Condivido quello che scrive il nuovo PCI  perché rompe l'ipocrisia e ha il coraggio di fare dibattito franco e aperto, perché è questo quello che fanno i comunisti, perché i comunisti fanno ciò che è giusto e necessario negli interessi delle masse popolari. La lotta di classe a Napoli è più avanti per certi versi che altrove e a maggior ragione il dibattito per capire quale strada imboccare è fondamentale. Smettiamola di banalizzare e facciamo le persone serie: l'economicismo è una categoria che definisce una precisa deviazione in seno al movimento comunista, è un'altra cosa dalle lotte rivendicative che sono giuste e che noi sosteniamo! L'economicismo non è un termine che abbiamo inventato noi: è una definizione scientifica che appartiene al movimento comunista. Riformismo e sinistra borghese non erano forse termini che usava Lenin? Lenin non chiamava in causa i suoi avversari politici, non faceva un dibattito franco e aperto? E' una pratica propria ai comunisti, a coloro che la rivoluzione l'hanno fatta per davvero, e quindi noi perchè non dovremmo farlo? Non stiamo giocando!”
Effettivamente, come disse Mao, la rivoluzione non è un pranzo di gala. D’Aliesio si rivolge a Cararo che ha davanti, e che la prega “Fatece campà..” Lei però insiste: “Voi la rivoluzione non volete farla, e le parole con cui lo dite hanno un significato e un peso, e lo avete dichiarato. Noi invece vogliamo farla e dare fiducia che si può fare. E basta con questa ipocrisia, care compagne e cari compagni, e smettiamola  di dire che a Napoli tra compagni ci si vuole bene. Addirittura ci sarebbe un clima di fratellanza… Le mazzate tra compagni ci sono sempre state e certo questa non è la prima volta. IL P.CARC  solo qualche anno fa ha fatto un comunicato pubblico per invitare al dibattito pubblico due gruppi di compagni che si erano presi a bastonate quale misura concreta per evitare che nelle piazze si sfociasse in guerra fratricida! Ma posso fare un esempio più recente: il 18 novembre di quest’anno in piazza durante il corteo stava nuovamente avvenendo che volassero gli stracci e perchè chi aveva tentato di sabotare quella manifestazione aveva organizzato un'azione diversiva dal corteo per accaparrarsi i riflettori, mettendo in difficoltà e cercando di fare le scarpe a chi quel corteo l'aveva organizzato e aveva speso tempo, risorse ed energie per mobilitare e far partecipare. E pure il 18 novembre abbiamo sostenuto che dovevamo trattare delle divergenze pubblicamente in un’assemblea e nessuno ha voluto farlo.  Abbiate il coraggio di dire ad alta voce le cose! E invece no, perché quello che è ampiamente diffuso ed è pratica corrente è il modo di fare dei cardinali e dei preti: si trama alle spalle, si fa inciucio nei corridoi, si mandano avanti altri a parlare, si allude, addirittura si minaccia, ma sempre senza fare nomi. Ditelo chiaramente chi volete minacciare e di cosa, se avete il coraggio delle vostre azioni e della vostra linea. Noi i nomi li facciamo perché è giusto, e perché la Questura dovrebbe conoscere i nomi e i fatti e i proletari no? Perché quando si da solidarietà si fanno i nomi e quando bisogna criticare una posizione si fanno allusioni? I proletari non devono sapere quali sono le posizioni e chi le esprime? Noi pensiamo che i lavoratori, i precari, i disoccupati devono sapere la verità: sono loro i nostri referenti.  E poi, veramente, smettiamola di dire bugie e cambiare le carte in tavola, anche perché altrimenti non si capisce nemmeno la realtà, non si fa bilancio serio. Quando hanno schiaffeggiato Massimo Amore non c’è stata nessuna assemblea pubblica, ma una riunione tra di noi e noi anche quella volta: abbiamo portato la nostra solidarietà per un gesto che non condividiamo e che reputiamo sbagliato, così come abbiamo fatto con Michele Franco oggi e nei giorni scorsi, ma abbiamo detto chiaramente che ciò che avvelena il clima è la mancanza di dibattito franco e aperto. Oggi siamo noi che stiamo difendendo Michele Franco, nominandolo e spingendo a trattare apertamente alla luce del sole le questioni.”
A Cararo, che aveva chiesto perché la carovana si accanisce proprio contro di loro dice che invece sta portando avanti la critica con tutte le organizzazioni che si dichiarano comuniste, come il PC di Rizzo e come altre. È però inutile che glielo dica. Sta scritto anche nel Comunicato del 5 gennaio del (n)PCI, ma loro non lo hanno visto. Sta proprio prima e dopo quelle due righe e mezzo su cui si sono fissati. Sono troppo fissati.

Amedeo Curatoli
Curatoli esordisce parlando della sua fede profonda nel marxismo leninismo. Dice che Alfonso de Vito è stato scorretto perché, dice, ha fatto un intervento intelligente e poi subito dopo se ne è andato via.
Continua dicendo che lui adora le tessere di partito ma non trova nessuno che condivida la sua tesi sulla Cina che sta andando avanti sulla strada del socialismo. Quanto agli scontri fisici, non vede ragioni di tutto questo baccano e rivendica tutte le mazzate che ha dato ai trotzkisti a suo tempo, al che suscita una reazione molto arrabbiata di uno che non conosco. Appena riesce a parlare di nuovo dice che non gli è piaciuto l’intervento di Rosario [Marra, N. d. R.] perché non è stato per niente rigoroso. Dice che ci sono divergenze profonde entro il movimento, e che dobbiamo avere scienza. Siamo stati testimoni di un grande movimento comunista, di due grandi rivoluzioni, e il patrimonio che ci viene consegnato dobbiamo prenderlo, altrimenti siamo degli stupidi.

Michele Franco
Chiude dicendo che la discussione voleva toccare i nodi che sono venuti fuori stasera. Dice che continueranno con le azioni di lotta, e che decideranno loro con chi continuare il dibattito. Al riguardo, tenga conto che il dibattito si fa con chi è su posizioni differenti dalle nostre
RdC intende continuare a farlo con gli intellettuali delle università borghesi, i “filosofi” che si limitano a descrivere  la società, di cui parla Sito, tipo il Bauman qui citato più volte, secondo il quale la società è “liquida”? Tu che dici, Luigi Sito, è liquida oppure ribolle e si sta trasformando in vapore?
Oppure RdC intende fare il dibattito solo con quelli che danno loro ragione? Senz’altro no: questo non è dibattito.

Conclusioni
Questo è un resoconto molto lungo, e ringrazio per l’attenzione e la pazienza chi è riuscito ad arrivare fino a qui. La lunghezza era necessaria. È come quando si entra in una casa abbandonata da mezzo secolo dove bisogna rimettere in ordine e ripulire. Una squadra di pulizie ci metterebbe minimo una settimana. Questo documento, per quanto lungo, è solo un inizio e non riesce nemmeno a descrivere la ricchezza dell’evento, i commenti che lo hanno accompagnato e la gioia di tanti compagni e compagne contenti e fieri di fare parte di un movimento comunista che rinasce e cresce. La risposta a tutti loro e alle masse popolari di questo paese e la continuazione di quanto detto al Filangieri il 12 gennaio è promessa che continueremo fino alla vittoria. Il futuro è luminoso. Viva il Governo di Blocco Popolare! Avanti con la costruzione della rivoluzione! Viva la Carovana del (n)PCI e la rinascita del movimento comunista italiano e internazionale!

Paolo Babini
Commissione Gramsci del Partito dei CARC



[1] Cosa sono l’attendismo e il disfattismo è spiegato oltre.
[2] “La sinistra borghese è quella congerie di uomini politici, di sindacalisti, di preti di buon cuore e di intellettuali che denunciano e persino sinceramente si indignano di fronte ai mali della società borghese, ma vi oppongono misure, regole e leggi che restano all’interno delle relazioni proprie della società borghese, costruite attorno e sulle fondamenta delle aziende capitaliste che producono beni e servizi per valorizzare il proprio capitale (fare profitti). E proprio per questo per lo più restano misure, regole e leggi sulla carta, perché “i mali della società borghese” non esistono a caso, non sono sconnessi tra loro (semplicemente e a caso l’uno accanto all’altro), né sono venuti al mondo principalmente ognuno per l’ignoranza o la malvagità personale dei suoi fautori e promotori. Grazie al materialismo dialettico abbiamo imparato che ognuno di essi è uno sviluppo naturale (cioè conforme alla natura) della società borghese ed è organicamente connesso agli altri suoi aspetti. Se accettate il maiale, dovete accettare anche il suo odore! Nel migliore dei casi lo correggerete con un po’ di profumo che fa quel che può!” (La Voce del (nuovo)PCI, n. 44, luglio 2013, p. 52)
[3] Giorgio Gaber, Al bar Casablanca, in Far finta di essere sani, 1973-1974, in https://www.youtube.com/watch?v=Re7mzbvFY-w
[5] Questo tipo di atteggiamento in qualsiasi attività umana è considerato assurdo: non basta attendere la rivoluzione per chiamarsi rivoluzionario. Chi sta a tavola ad attendere che gli venga portato il pasto non si definirebbe mai non solo cuoco, ma nemmeno cameriere.
[6] Le masse popolari non possono essere usate come massa di manovra nel processo di costruzione della rivoluzione. Devono esse stesse imparare a dirigersi e a dirigere.
[7] La strategia per la rivoluzione è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Vale per tutti i paesi del mondo, ma nei paesi imperialisti ha una forma differente da quella che ha nei paesi neocoloniali. Dato che si tratta di materia nuova, per comprenderla bisogna studiare. Al riguardo vedi il Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pp. 197-208). La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è elaborazione scientifica del maoismo, ma è stata studiata anche da Gramsci, che la chiama “guerra di posizione”.
La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è fatta propria dalla Rivoluzione Bolivariana del Venezuela: In diretta su VTV Maduro dirige le esercitazioni antimperialiste della FANB, la Forza Armata Nazionale Bolivariana: "La Guerra Popolare di Lunga Durata è la dottrina della FANB", ha affermato. https://www.facebook.com/NicolasMaduro/videos/1916512588579215/. Vedi anche https://albainformazione.com/2017/01/13/17116/:  “L'ultima speranza per le classi dominanti in Venezuela è l'intervento straniero sotto la direzione dell'imperialismo. Lo sanno bene i nostri dirigenti, quindi non è nulla di peregrino l'installazione del Comando Speciale Anti-golpe e nemmeno il riferimento del Generale Vladimir Padrino López alla Guerra Popolare di Lunga Durata. Un popolo previdente vale per due.”
[8] In quel caso, però, è stato l’aggressore a prenderle.
[12] La Voce del (nuovo)PCI, n. 54, novembre 2016, p. 20, in http://www.nuovopci.it/voce/voce54/nel2017.html
[13]Comunicato del Comitato centrale 1/2017 - 5 gennaio 2017, in  http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2017/com.CC_01_17.01.05_CCNL.html
[14] L’appello viene raccolto il 5 di gennaio da un comunicato dell’appena costituito Laboratorio Comunista Casamatta, (ma da dove, se nel sito RdC c’è scritto 8 gennaio?), anche se sbagliando data: “raccogliamo l'invito rivolto dai compagni della Rete per una pubblica assemblea sulla situazione e chiamiamo tutte e tutti a parteciparvi, giovedì 12 dicembre ore 17.00 presso l'Asilo Filangieri!”
[15] “Il materialismo dialettico offre ai comunisti strumenti importanti per comprendere e condurre coscientemente la trasformazione della società capitalista in società comunista. Esso è stato ed è alimentato dal bilancio dell’esperienza di questa trasformazione. Il materialismo dialettico è la filosofia del partito comunista.” (Manifesto Programma del (nuovo)PCI, cit., p. 265.
[16] Quaderni del carcere a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 2001 (prima ed. 1975), Torino p. 1377.
[17] Per informazioni su Massimo Amore vedi Alcune massime amare: Ancora sul materialismo dialettico e la rivoluzione socialista, in La Voce del (nuovo)PCI, n. 51, pp. 57 e seguenti, in http://www.nuovopci.it/voce/voce51/masamare.html. Massimo Amore ha operato entro la Carovana del (nuovo)PCI dal 1994 all’ottobre 2014. Oggi opera nel Laboratorio Comunista Casamatta citato sopra. È stato presente nella prima parte dell’assemblea del 12 gennaio, dove non è intervenuto.
[18] “se qualcuno dice che la rivoluzione socialista è possibile, o è da neurodeliri o è un poliziotto” è stato uno dei fili conduttori del discorso che Rizzo ha tenuto al Congresso Regionale del PC a Bologna il 9 dicembre” (Comunicato del Comitato centrale 1/2017, cit.)
[19] Consentitemi, compagni e compagne, di ricordare con affetto uno dei più pazzi di tutti, un amico carissimo, di nome Carlo, con cui una volta ebbi uno storico scontro dove mi costrinse alla fuga e a rinchiudermi in una stanza di cui spaccò da fuori la vetrata a colpi di bastone, a Serravalle di Bibbiena, in provincia di Arezzo, e che un’altra volta, a Firenze, cercò di strangolarmi.
[20] Manifesto Programma del (nuovo)PCI, cit., p. 35. Pure Lenin e Stalin condividevano questa affermazione, e infatti attendevano la rivoluzione nei paesi come la Germania e l’Italia per poter affrontare con maggiore facilità la costruzione del socialismo in URSS.
[21] Gramsci, Quaderni del carcere, op. cit. p. 1580.
[22] Pennacchio pure, come Amore, si è formato nella Carovana del (n)PCI. E’ stato membro della Direzione Nazionale del Partito dei CARC. Va segnalato che molti componenti del suo organismo sono ex componenti del P.CARC. Il P.CARC con questo organismo svilupperà politica da fronte in ogni ambito possibile. Contrasterà una tendenza che è possibile si manifesti, quello di trovare unità nell’essere contro il P.CARC. Lo abbiamo sperimentato nella Prima Lotta Ideologica Attiva, quando la destra che fu espulsa dal Partito e si costituì come organismo prendendo il nome di Linearossa per un lungo periodo di tempo tutto quello che sapeva fare sul piano ideologico era attaccare la Carovana del (n)PCI. Come era prevedibile, quell’organismo non ha avuto vita lunga. Un organismo comunista vive solo se sa per cosa sta lottando, e non se ripete contro cosa sta lottando.
[23] Mi dicono però che Sorge se ne è andato quasi subito dopo il suo intervento, quindi non ha seguito il dibattito da lui richiesto.
[24] Autori sono Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti, militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
[25] Il proletariato non si è pentito, a cura della comunista Adriana Chiaia, è uno dei contributi più organici contro la dissociazione dalla lotta di classe. La Chiaia era una nota esponente del Coordinamento. Tesi fondamentale della sua opera di oltre 600 pagine è che, per quanto molti ex rivoluzionari ora si dissocino, “il proletariato in quanto classe non può dissociarsi dalle condizioni materiali della propria esistenza se non trasformando l’intera società”. Adriana Chiaia è stata arrestata insieme a Giuseppe Maj nell’ambito dell’ondata repressiva del 1985. Il volume è edito dalle Edizioni Rapporti Sociali.
[26] I compagni delle BR criticano chi lavora per “la disgregazione del movimento rivoluzionario, perché propaganda l’individualismo come il nuovo, e l’organizzarsi collettivo come il vecchio.” (p. 8)
[27] ibidem, p. 8.
[28] Si tratta dell’idea del magistrato Pietro Calogero secondo il quale una serie di dirigenti dell’Autonomia erano le “menti” delle Brigate Rosse, sicché iniziò una lunga persecuzione nei loro confronti a partire dal 7 aprile 1979, arrestandone parecchi, e primo fra loro Toni Negri, professore all’università di Padova.
[29] Il (nuovo)PCI scrive dei due: “La coppia tira in campo Gramsci travisato per mettere in bocca a Chávez un discorso melenso: “la rivoluzione socialista è un profondo atto d’amore” e loro due sognano di riprodurne uno analogo sulle rive del Mediterraneo con “la costruzione di una società socialista pacifica”, senza neanche preoccuparsi di avere almeno il governo del paese!” (Avviso ai Naviganti 66, cit.)
[30] Vedi in http://rinascitadigramsci.blogspot.it/2017/01/luigi-sito-giggino-dice-maria-pia-zanni.html. Maria Pia Zanni è una importante dirigente USB, presente all’assemblea del 12 gennaio.
[31] Quaderni del carcere, cit., p. 1523. Gramsci aggiunge: “Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale.” Questo è per noi del P.CARC: nel partito si impara a diventare dirigenti, educatori e formatori.


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