"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

mercoledì 22 febbraio 2017

KEEP CALM


UN ESPONENTE DEL CIRCOLO BOLIVARIANO “ANTONIO GRAMSCI” DI CARACAS A CASERTA, IN UNA INIZIATIVA ORGANIZZATA DA USB E SCETAT



Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, e già la borghesia, che con la sua veste fascista lo uccise nel 1937, oggi si dà da fare per falsificarne l’eredità, magari in veste pop, come ha fatto il quotidiano La Repubblica nel suo inserto Robinson un paio di giorni fa, sfarfallando con i suoi “concetti chiave” (“egemonia”, “intellettuale collettivo” e via cantando) e portando in campo tutti gli svariati nomi di tutti quelli che da cattedre e istituzioni varie si presentano come i reali interpreti e conservatori di ciò che Gramsci ha detto e fatto). A Caracas il Circolo Bolivariano Antonio Gramsci, tra le sue varie attività, si sta occupando di insegnare alle masse popolari del Venezuela a farsi la pasta con le macchinette importate dall’Italia, perché le aziende italiane esportatrici di pasta nel paese stanno speculando sul prodotto e partecipano a pieno titolo alla guerra economica che la borghesia imperialista, prima fra tutti quella statunitense, conduce contro la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela. Questo è un modo vero per attuare il pensiero di Gramsci, che ha dato preziosi insegnamenti su come le masse popolari guadagnano autonomia e diventano consapevoli che sono loro a fare la storia, e che solo loro possono farla. Da un lato sta chi ci insegna a guadagnare autonomia nel farci la pasta, dall’altro chi disquisisce di argomenti che la maggior parte di noi non capisce. Chi sono i veri continuatori dell’opera di Gramsci è chiaro come il mattino in cui ci si illumina d’immenso[1].

Questa esperienza è stata raccontata da Angelo Iacobbi, esponente del Comitato a un pubblico folto intervenuto al Ristorante “Il Cortile”, a Caserta, in una iniziativa organizzata dal sindacato USB e dall’associazione SCETAT, che  si occupa di rivalutazione di territorio, cultura, enogastronomia in questa parte d’Italia. Tema dell’iniziativa: Il ruolo del Sindacato nella costruzione del Potere Popolare nella Rivoluzione Bolivariana.
Relatori all’iniziativa erano, oltre a Iacobbi, Antonio Cipolletta di ANROS[2] e Giuliano Granato dell’ex OPG[3]. Danilo Della Valle, dell’ANPI di Caserta, moderatore, ha introdotto spiegando che fine dell’iniziativa era contrastare la propaganda di regime sul Venezuela, paese che per primo in questo nuovo secolo ha mostrato che un nuovo mondo è possibile, e ha avviato una distribuzione più equa della ricchezza prodotta, che qui è principalmente il petrolio.

Contro questo nuovo Venezuela è stata scatenata una guerra economica. Proiettano un video dove si mostra la propaganda dei media a sostegno di questa guerra a livello internazionale, e informano sul paese e la sua storia. Il paese possiede le più grandi riserve petrolifere del mondo. Gli USA ambiscono a controllare questa risorsa, dato che ne sono i maggiori consumatori al mondo. Ogni 100 barili che consumano devono importarne 60. Parecchi ne importano dai paesi arabi, e al controllo della produzione in zona sono legate tutte le guerre degli ultimi decenni (dall’Iraq alla Libia alla Siria). Il trasporto del petrolio dal Medio Oriente agli USA richiede però molto tempo e denaro, mentre trasportarne dal Venezuela consente abbattimento di tempo e costi del 90%. Per più di 40 anni grazie al Patto di Punto Fijo[4] gli USA si sono garantiti petrolio a basso prezzo, mentre cresceva la miseria della popolazione. Si arrivò nel 1989 alla ribellione, il Caracazo, durante il quale furono uccise dall’esercito tremila persone. Qui iniziò il suo percorso Chávez, che dall’esercito iniziò a fare politica fino a diventare dirigente del paese dieci anni dopo e dare avvio alla rivoluzione bolivariana. Sotto il governo della rivoluzione grandi sono stati i passi avanti per le masse popolari del paese in tutti i campi.
Gli USA sostennero un colpo di Stato nel 2002, che fallì. Anche un successivo tentativo di destabilizzazione fallì. Oggi tentano con il golpe morbido. Il paese dipende molto dalle importazioni, quindi l’oligarchia cerca di togliere i prodotti di prima necessità e di specularci sopra. A questo si accompagna la manipolazione dell’informazione, cercando di fare passare il governo come “quello che reprime movimenti pacifici di protesta”. Parecchi sono stati i golpe tentati o riusciti negli ultimi anni in America Latina, ma il Venezuela non consentirà che gli imperialisti riprendano il potere nel paese, dice il presentatore del video.
Parla Iacobbi, e dice che è difficile immaginare l’oppressione coloniale nel paese prima che Chávez andasse al governo. Il 90% della terra era in mano all’1% della popolazione. La popolazione viveva in povertà, non c’era alcun diritto alla salute, o all’assistenza in vecchiaia. Quando è arrivato nel 2001 non c’era anagrafe e le macchine non avevano targa. Oggi la destra dice che mancano le medicine ma allora non c’erano ospedali. Chávez come prima cosa fece arrivare moltissimi medici da Cuba creando ambulatori ovunque. Si avviò una lotta contro l’analfabetismo. Oggi ci sono italiani che si lamentano della situazione perché venivano in Venezuela e facevano quello che volevano, si appropriavano di terra, costruivano fabbriche, assumevano lavoratori che non ne avevano alcun diritto e non pagavano alcuna tassa. Esisteva allora un categoria di lavoratori chiamati “residenziali”, obbligati a essere a disposizione del padrone per qualsiasi sua necessità 24 ore su 24. Orario di lavoro e salario dei lavoratori erano a piena discrezione dei padroni.
Oggi sono stati istituiti tutta una serie di diritti, sette ore lavorative al giorno, due giornate libere consecutive, la liquidazione, quindici giorni di ferie all’anno che crescono con il passare degli anni, divieto di lavoro sotto i 14 anni, divieto di discriminazioni di genere e razziale. Se un padrone lascia una fabbrica i lavoratori possono farla propria e continuare la produzione. Probabilmente si riferisce a decise prese di posizione di Maduro dello scorso anno, in cui il presidente della Repubblica parlava del fatto che i lavoratori dovevano occupare le fabbriche e i padroni che le abbandonavano dovevano essere arrestati.[5]
Questo ci fa pensare a quanto scrive Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale nella sua proposta di “Attuazione della Costituzione economica” che è conforme a un programma di un governo di emergenza, di un governo di blocco popolare. Cita l’art. 42 della Costituzione secondo il quale “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (cioè dalla volontà suprema del Popolo) ... “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. Parla quindi della “necessità del passaggio alla proprietà pubblica comunale dei “beni e dei terreni abbandonati”. Lo consente il citato art. 42 della Costituzione, il quale afferma, come si è appena visto, che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge .... allo scopo di assicurarne la funzione sociale”, afferma cioè, senza ombra di dubbio, che “l’inadempimento della funzione sociale”, e a maggior ragione il perseguimento di fini antisociali (come è il licenziamento dei lavoratori) fa “venir meno” la tutela giuridica, e cioè la tutela e la garanzia del diritto di proprietà privata.”
Maduro e Maddalena sono uomini diversi per età, per nazionalità, per posizione di classe e per provenienza politica, e la loro convergenza sulla preminenza della proprietà collettiva sulla proprietà privata è segno chiaro di come il movimento storico e oggettivo spinge verso la rivoluzione, spinge a costituire un assetto sociale dove si riconosce che i mezzi di produzione, il modo di produrre, la distribuzione dei prodotti devono essere gestiti dalla classe operaia e dal resto dei lavoratori, dai popoli e dalle masse popolari. Il dominio della borghesia imperialista si incrina e si disgrega. Questo impariamo a vederlo ovunque, anche in questa iniziativa di Caserta, dove Iacobbi continua il suo racconto dicendo che oggi quei lavoratori “residenziali”, schiavi mascherati, sono stati aboliti. Sono garantiti i diritti di madri, padri e genitori di figli disabili. Si può costituire un sindacato. Le cause del lavoro si chiudono in poche settimane.
Alle 19 il lavoratore ha il diritto di essere trasportato a casa, dice. Infatti in Venezuela non ci sono ferrovie, perché gli statunitensi non ne hanno fatte: viaggiavano in aereo da un possedimento all’altro. Non ci sono autostrade. Ci vogliono due ore di viaggio per arrivare a casa e ai tropici fa buio alle 18. La sera dovrebbero fare due ore a piedi nel buio completo. Oggi si forniscono ai lavoratori auto e autobus.
Maduro conosce bene i problemi dei lavoratori perché è stato un lavoratore della Metro di Caracas, dice. Aggiunge che non è il denaro quello che manca, che non si fa la guerra economica facendo mancare il denaro: manca la farina, mentre si possono acquistare tutti i televisori a schermo piatto che si vogliono.
Vide un ospedale prima della rivoluzione con i malati a terra sui cartoni. Oggi racconta dell’ultimo ospedale che ha visto, completamente gratuito, modernissimo e pulitissimo. Parla dell’ambulatorio con i medici cubani in cui i malati quando arrivano al pronto soccorso sono curati immediatamente.
L’impresa più grande di Chávez è stata dare la coscienza alle masse popolari. Si sta combattendo per eliminare la discriminazione razziale, e contro un nemico potente, che ha in mano tante risorse e vuole tornare ai tempi in cui aveva a disposizione una manodopera quasi gratuita, costretta a vivere in posti come quelli in cui da noi stanno le galline. Oggi si costruiscono abitazioni a una velocità impressionante.[6]
Oggi la destra dice che tutto quello che manca è per colpa di Maduro, mentre solo ora si sta imparando a produrre quello che è sempre mancato. Lui quando è arrivato nel 2001 vedeva la gente che mangiava nelle pattumiere, o che mangiava cibo per cani, se voleva carne. Mario Neri del Circolo Bolivariano Gramsci di Caracas sta insegnando a farsi la pasta in casa, perché gli importatori italiani vendono la pasta al triplo del prezzo che si venderebbe in Italia. Dice che possiamo comprare macchine per fare la pasta[7] e portarle in Venezuela.
Il governo passa la farina ma corruzione e speculazione rendono la distribuzione difficile. Il commercio di  questo come di altri beni primari è campo di guerra. Gli USA hanno inventato un sito, DollarToday, dove definiscono a loro piacimento il cambio tra dollaro e la moneta nazionale, il bolívar, intervenendo così pesantemente nell’economia del paese. Quando il governo aumenta i salari, il sito USA svaluta la moneta venezuelana. Si passa dal pagare un bene X bolívar al pagarlo 4X bolívar, perché i negozianti fanno i prezzi in base a quello che vedono quanto il bolívar è valutato rispetto al dollaro su DollarToday.
Il progetto della pasta fatta in casa viene descritto da un contributo audio di Fabio Salvati, compagno in prima fila nella Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana. I corsi per fare la pasta vengono fatti in strutture collettive, istituzioni comunali, organizzazioni popolari, scuole, dove all’insegnamento tecnico si accompagna il discorso su come sostenere la Rivoluzione. Sono stati realizzati 40 di questi corsi. Le macchinette costano circa 30,00 € e vengono portate a mano, dice perché spedirle costa più che comprarne. Ne hanno portate una ventina. I corsi hanno un grandissimo successo. Si viene a fare la pasta nella struttura, e la macchina rimane in quel luogo, che se uno se la portasse a casa ne farebbe poi uso privato.
Antonio Cipolletta, di ANROS, interviene per parlare dell’attacco contro la Repubblica da parte non solo degli USA ma anche da paesi che agli USA sono sottomessi (Messico, Honduras, ecc.). Parla della guerra economica, psicologica, mediatica ordita dagli USA e gestita dalle mafie interne al paese, con il contributo di speculatori, arraffatori e contrabbandieri operativi al confine con la Colombia. Parla delle relazioni internazionali del Venezuela, dell’attivismo della ministra degli esteri con i paesi produttori di petrolio, del sostegno alla lotta del popolo palestinese, del sostegno alla Siria, e alla Libia di Gheddafi, che hanno subito l’attacco da parte degli imperialisti, delle relazioni avviate con Russia e Cina, che offrono alle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB) addestramento ma anche armi, quante ne possono servire in caso di aggressione. Il Ministero della Difesa lo scorso mese ha simulato una risposta delle FANB rispetto a una aggressione possibile, parlando di Guerra Popolare di Lunga Durata.[8] Il paese, però soprattutto è costruttore di cooperazione, con la costruzione dell’ALBA,[9] e di prospettive di pace.
Nel paese si pratica quello che abbiamo definito socialismo del nuovo secolo, un socialismo applicato alle esigenze del paese, dice, aggiungendo che abbiamo il dovere di sostenerlo. Effettivamente ogni rivoluzione socialista, anche quella che stiamo costruendo in Italia, va applicata alle esigenze del paese perché, come dirà Giuliano Granato che interviene ora, citando il peruviano José Carlos Mariátegui, la rivoluzione in un paese non può essere ní calco ní copia di quella di un altro. In Italia, ad esempio, condizioni particolari hanno reso necessario che per costruire la rivoluzione siano stati costruiti due partiti comunisti, e non uno solo.[10]
Giuliano Granato dell’ex-OPG parla dell’occupazione dell’ex Ospedale che stanno gestendo. L’esperienza del Venezuela per loro è determinante e fonte di ispirazione, anche se la distanza tra la situazione del nostro paese e quella del Venezuela è molta, dice. Insegnamento prioritario è quello della democrazia popolare e “protagonica”[11], che viveva in consigli comunali già esistenti prima che arrivasse Chávez, solo che Chávez li ha sostenuti ed estesi. Dice che il punto più alto della lotta di classe anche quanto a partecipazione e protagonismo nei paesi imperialisti è stato in Italia, l’esperienza più ricca, dice, nonostante le batoste che abbiamo subito, e quello che viene portato avanti in Venezuela fa tornare in mente questa ricchezza. Questo dice il compagno, o almeno penso che abbia detto questo, perché dovrebbe definire meglio cosa intende con esperienza della lotta di classe nel nostro paese e con “batoste”.
Parla dell’importanza della formazione politica all’interno dei luoghi di lavoro in Venezuela. Questo fa parte di un processo di “coscientizzazione” che, dice, in America Latina non è arrivato fino in fondo, e a questo sono dovuti l’avanzamento della destra in Argentina e Brasile e le difficoltà presenti in Venezuela. Qui il compagno contraddice quello che ha detto sopra Iacobbi, secondo il quale Chávez ha dato coscienza alle masse popolari, ma anche con quello che dirà lui stesso più oltre.
Il nemico non è eliminato, dice. È ancora all’interno del paese e lavora in  modo sotterraneo, e per questo Chávez invitava i lavoratori al controllo popolare, quello che è stato portato avanti dall’ex-OPG ai seggi, contro la camorra che, anche nel suo quartiere, controllava l’andamento del voto.
Abbiamo tanto da imparare dai movimenti di base che hanno portato al potere Chávez, dice. Chávez pensava che fosse possibile una terza via come quella dei socialdemocratici, come quella propagandata da Blair, ma una volta in campo si è reso conto della impossibilità di questo percorso, seguendone invece uno che rendeva impossibili manovre come quelle applicate in Brasile contro la Rousseff. In Venezuela, in 18 anni si è costituita una coscienza tra le masse popolari che è una barriera contro le manovre, dice. Si chiarisce quindi che il compagno probabilmente vuole dire che mentre in Venezuela le masse popolari sono state portare ad acquisire una coscienza sufficiente per arrestare il ritorno della destra, anche se non ancora tale da poter dichiarare vinta la guerra, in altri paesi questo non è accaduto.
Parla dell’appoggio del governo italiano all’opposizione del Venezuela, delle imprese italiane che vantano crediti dal governo, secondo quanto dice Casini.[12]Risponde subito Iacobbi parlando del credito vantato da compagnie come l’Alitalia, che vogliono essere pagate in euro, mentre pagano il carburante in bolívar, e fanno prezzi bassissimi grazie all’intervento del governo. Come altre imprese italiane, Alitalia vogliono speculare sul cambio tra bolívar e euro. Casini vuole il voto degli italiani all’estero, di quegli italiani che sono andati in Venezuela e si sono arricchiti rapidamente grazie alla libertà di speculare e sfruttare. L’Alitalia in Venezuela aveva un costo del lavoro e della benzina quasi inesistente ed è andata in attivo, e perciò pretende si torni a quelle condizioni. Non sopportano una situazione in cui agli operai è dato diritto di discutere dell’organizzazione del lavoro, a giudicare i padroni, cosa per cui si organizzano periodicamente assemblee dove si decretano multe se i padroni non sono in riga, multe che crescono se i padroni persistono nel non rispettare i diritti dei lavoratori.
Iacobbi vuole parlare anche dell’ultima sconfitta elettorale da parte delle forze governative. La redistribuzione della ricchezza promossa dalla rivoluzione bolivariana ha creato un determinato grado di benessere, e la destra sta mettendo in giro voci che “i comunisti si rimangeranno tutto”. Il problema, sinteticamente, è che il governo ha fatto l’errore di dare al popolo il pesce, anziché insegnargli a pescare.
Luigi Sito, presidente del Sindacato Lavoratori in Lotta chiede perché Maduro, che ha il potere, non ha possibilità di distribuzione dei beni di prima necessità, e perché non impedisce a Barilla di andare via portandosi i macchinari. Quindi interviene Paolo Babini, del P.CARC. Chiede se in Venezuela è stata avviata una lotta dei sostenitori (capeggiati da Maduro) della linea consistente nel creare nel paese una struttura produttiva (agricola, industriale e di servizi) o pubblica o in altro modo collaborante con la direzione della rivoluzione bolivariana, e se a fronte di questo, oltre alla destra esterna, quella di cui abbiamo parlato finora, esiste anche una opposizione interna, di dirigenti che di fatto vogliono limitarsi a prolungare la distribuzione alle masse popolari (in servizi, in beni e in salari o sussidi) di una parte della rendita petrolifera lasciando intatto il dominio della borghesia e dell’imperialismo sulla struttura produttiva e sulla distribuzione e quindi le forze reazionarie nella guerra economica contro le forze della rivoluzione bolivariana. Aggiunge che è giusto fare iniziative come questa, dove abbiamo la possibilità di conoscere la realtà del Venezuela e capire come possiamo sostenere la rivoluzione bolivariana ma, da un lato il modo migliore per sostenerla è fare la rivoluzione nel nostro paese, costruire il socialismo, cosa che parecchi che pure si dicono comunisti in Italia pensano impossibile, come se in Venezuela si potesse e in Italia no. Inoltre, è giusto che sia anche la rivoluzione bolivariana a sostenere chi, in Italia, costruisce la rivoluzione socialista, proprio perché chi fa questo in un paese imperialista porta un contributo determinante per fare vincere la resistenza contro gli imperialisti in Venezuela e in ogni parte del mondo.
Interviene quindi Fabiola D’Aliesio, segretaria federale del P.CARC in Campania. Dice che questa guerra economica in Venezuela ci può scandalizzare, ma in fondo anche a noi stanno togliendo quanto abbiamo conquistato. Anche da noi c’è una guerra, anche se non dichiarata. Parla anche lei di una lotta interna a fronte di un processo come quello che Maduro ha avviato, ma anche in Italia c’è una lotta tra chi afferma che oggi in Italia è possibile fare la rivoluzione e chi dice che dobbiamo tenerci questo sistema e al massimo possiamo pensare di migliorarlo.
Oggi bisogna portare la solidarietà al Venezuela ma la più grande azione di solidarietà a casa nostra è lottare perché in Italia non ci siano i Ferdinando Casini di turno. Intende dire che dobbiamo fare un governo di emergenza, come quello che si sta prefigurando nelle iniziative e nelle prospettive di alcuni soggetti e forze politiche dopo la vittoria del NO al referendum del 4 dicembre. Infine torna al tema di cui qui dobbiamo discutere, quello ruolo del sindacato. Cita l’esperienza che ci è stata raccontata da esponenti della rivoluzione bolivariana quando hanno istruito i lavoratori a controllare il porto, nel 2002, un punto cruciale per il blocco delle importazioni su cui i golpisti contavano per consolidare il proprio potere.
Fa i complimenti all’USB che ha fatto questa iniziativa per coinvolgere i lavoratori di Caserta, complimenti che vengono condivisi anche da un intervento telefonico di esponenti della rivoluzione bolivariana, dove si ribadisce il sostegno al governo di Maduro, il presidente operaio.
Interviene infine Fulvio Beato, dirigente dell’USB di Caserta, che spiega le ragioni di questa iniziativa. Parla dei lavoratori qui presenti, a rischio di licenziamento e oggetto di repressione da parte del padronato. Il Venezuela geograficamente ci è distante, dice, ma quanto lo è politicamente e socialmente? In fin dei conti qui da noi la situazione non è cruda come quella del Venezuela pre-chavista, ma abbiamo il caporalato, dove il sindacato non esiste, e la fase attuale non è avanzata né avanzante, in tutte le aziende, piccole, medie e grandi, incluse quelle partecipate. In certe aziende agiamo quasi come una organizzazione clandestina (hanno fatto una riunione in una ghiacciaia), sotto minacce o della camorra o dell’avvocato del padrone. Da certi punti di vista il Venezuela è quindi più avanti, quando si parla di diritti sindacali. Parla del fatto che l’USB ha dovuto firmare il Trattato Unico di Rappresentanza, che ingabbia l’azione sindacale, cosa sul quale dissente. È stato un successo, conclude, quello di fare partecipare i lavoratori casertani, per mostrare loro che, anche se oggi l’URSS non c’è più, purtroppo, comunque qualcosa c’è.
L’associazione SCETAT conclude ringraziando Iacobbi, Cipolletta, Granato, Danilo Della Valle dell’ANPI, Beato, Francesco Tescione dell’USB, Ciro Brescia di ALBAinformazione, il titolare del ristorante che ha ospitato questa iniziativa, l’organizzazione Speranza per Caserta, il presidente provinciale dell’ANPI di Caserta, i compagni del P.CARC e del SLL, e la cantante lirica Teresa Sparaco, “cantante del popolo”.

Conclusione
L’iniziativa è stata indubbiamente un successo. A noi però serve soprattutto per l’insegnamento principale che ci dà, e che viene dall’intervento di Fulvio Beato. Contro il senso comune, secondo il quale “noi italiani siamo quelli che stanno meglio”, Beato dice che in Venezuela, quanto a pratica sindacale, sia sono più avanti sia avanzano, a fronte di situazioni in cui bisogna agire clandestinamente, come succede all’USB, a Caserta, ma come potrebbe succedere in più parti d’Italia, dopo che l’introduzione del Job’s Act consente al padrone di licenziare i lavoratori che si espongano nelle lotte per la difesa e l’estensione delle conquiste strappate alla borghesia imperialista nell’ultimo mezzo secolo. Noi del Partito dei CARC siamo andati a questa iniziativa dopo avere fatto due discussioni a Napoli, una a GAlleЯi@rt[13] nella Galleria Principe e una nella Scuola occupata Schipa in via Salvator Rosa, su una intervista al segretario del (nuovo)Partito comunista italiano, che è un partito clandestino.[14] Le ragioni per cui il partito comunista deve essere clandestino sono state spiegate dall’inizio e a fondo nelle pubblicazioni del (nuovo)PCI, e si riassumono nel fatto che se un partito vuole fare effettivamente la rivoluzione socialista e sa anche come farla, non può pensare di organizzarsi sotto gli occhi della classe che vuole rovesciare, pensando che questa si lasci sconfiggere come in una partita a briscola a carte scoperte. Oggi in una terra come quella dove operano le organizzazioni criminali si può capire meglio che altrove che anche le lotte rivendicative dei lavoratori entro la cornice della legalità borghese non si sviluppano, soffocano, e quindi si finisce per riunirci, giustamente, “in ghiacciaia”.
I comunisti saranno liberi di operare apertamente solo nei paesi dove avranno conquistato il potere, dice il Manifesto programma del (nuovo)PCI.[15] Nel nostro paese, come detto sopra, compagni e compagne impegnati nel lavoro per la ricostruzione del (nuovo)PCI hanno scoperto la necessità che ci fossero non uno, ma due partiti. Oggi noi compagni e compagne del P.CARC diciamo spesso, al nostro interno, che senza il (nuovo)PCI il nostro Partito non avrebbe ragione di esistere, sarebbe un avanzo sbiadito del passato o un altro opportunista “gruppo di amici” che si dichiara comunista ma cura il proprio interesse, si scava il proprio spazio nelle istituzioni, nei centri occupati, nel “movimento”. Se è vero che il P.CARC senza (n)PCI non esisterebbe, è vero anche che operando in modo combinato con il (n)PCI si rafforza, si consolida, si rinnova, vince e la strada della riscossa, e della vittoria, finalmente si apre.

Commissione Gramsci del P.CARC






[1]M’illumino d’immenso è l’unico verso della poesia di Giuseppe Ungaretti, intitolata Mattino. Ungaretti, spacciato per grande poeta nello scorso secolo e forse anche in questo, era “un buffoncello di mediocre intelligenza”, dice Gramsci, che nel 1932, in una lettera citata nei Quaderni di Gramsci si vanta della sua vita “fieramente italiana e fascista”. Ungaretti è uno i cui scritti sono stati insegnati nelle scuole della Repubblica Pontificia ai figli e alle figlie dei lavoratori e delle masse popolari che avevano accesso all’istruzione grazie alle lotte del movimento comunista, ma nessuno ci diceva che era un fascista.
[2]ANROS è l’Associazione Nazionale di Reti e Organizzazioni Sociali. Vedi in https://albainformazione.com/2014/12/12/anros-italia-lunga-marcia/
[3]L’ex OPG è quello che era l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, a Napoli, nel quartiere Materdei, occupato nel 2015 da studenti del Collettivo Autonomo Universitario.
[4]Il patto di Punto Fijo fu stipulato nel 1958 tra i partiti borghesi AD e Copei, i militari, la Chiesa e le rappresentanze ufficiali di imprenditori e lavoratori. Si concordò una suddivisione del potere tra due diversi schieramenti di destra e l’esclusione della sinistra. I soggetti che si alternavano al potere garantivano agli imperialisti piena libertà di sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali.
[5]In http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/venezuela_crisi_maduro_occupare_fabbriche-1736639.html.

[6]La costruzione di case di abitazioni procede in modo spedito grazie ai contributi derivati da accordi con la Repubblica Popolare Cinese, dice Iacobbi.
[7]Sono quelle piccole macchine che pesano 5 chili e che si usano nelle case per farsi la pasta.
[8]Guerra Popular Prolongada”.  Vedi in https://albainformazione.com/2017/01/13/17116/
[9]L'Alleanza Bolivariana per le Americhe (ALBA) (Alianza Bolivariana para América Latina y el Caribe in spagnolo) è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina e i paesi caraibici, promossa dal Venezuela e da Cuba in alternativa (da cui il nome) all'Area di libero commercio delle Americhe (ALCA) voluta dagli Stati Uniti.
[11]Protagonico significa “protagonista”, in lingua castigliana.
[13] https://albainformazione.com/2017/02/17/17176/
[14]http://www.carc.it/2017/02/01/una-nuova-intervista-al-compagno-ulisse-segretario-generale-del-nuovopci-sul-lavoro-del-partito-clandestino-e-la-differenza-fra-lattivita-del-nuovopci-e-quella-del-p-carc/
[15]I partiti comunisti svolgono legalmente, alla luce del sole, tutto il loro lavoro solo dove la classe operaia detiene già il potere: nei paesi socialisti e nelle basi rosse.” (Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, p. 212, in inhttp://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/03_Il_PC_lotta_Italia_nuovo_paese_socialista.html#3_4.)

martedì 21 febbraio 2017

DISOBBEDIRE ALLE LEGGI INGIUSTE: ATTUARE LE PARTI PROGRESSISTE DELLA COSTITUZIONE!

Riprendiamo e diffondiamo la comunicazione della Federazione toscana del Partito dei CARC in solidarietà a chi è colpito dalla repressione perché combatte il fascismo

Commissione Gramsci del Partito dei CARC

***

È stata rimandata all'11 aprile, l'udienza d'appello al compagno Lino Parra (prevista per lo scorso 15 febbraio), accusato di avere diffamato l’Ispettore Capo della Questura di Massa, Angelo Valentini, definendolo “picchiatore fascista” durante un presidio. Il tutto, nell’ambito delle mobilitazioni contro le ronde “SSS”, un tentativo di sdoganamento dei gruppi neofascisti operato dell'allora Consigliare Comunale di Massa, Stefano Benedetti. Il giudice in prima udienza ha accolto la richiesta di risarcimento avanzata dall’Ispettore Capo, condannando Lino al pagamento di 15.000 euro di risarcimento danni per avere offeso “l’onore” dell’agente (a tal proposito vedi: http://www.carc.it/2017/02/03/non-facciamoci-scippare-la-vittoria-referendaria-del-4-dicembre-applichiamo-la-costituzione-nelle-sue-parti-progressiste/).

Approfittiamo del rinvio per continuare e intensificare la nostra attività ai fini di costruire un ampio fronte di solidarietà a chi, come gli antifascisti di Massa, hanno difeso la Costituzione facendola valere nei fatti!
Nel nostro Paese chi ha attuato le parti progressiste della Costituzione è stato e viene colpito da repressione: chi si oppone ai processi di privatizzazione e smantellamento dei servizi pubblici, chi combatte le prove di fascismo e razzismo, chi lotta per il posto di lavoro. Ma è questo lo sbocco dell'importante vittoria ottenuta al referendum del 4 dicembre, far valere quella vittoria significa   organizzarsi e mobilitarsi per attuare le parti progressiste della Costituzione, mettendo al centro tutto ciò che è legittimo e che va negli interessi delle masse popolari, anche se è illegale (a tal proposito rimandiamo all'articolo di Resistenza:http://www.carc.it/2016/12/30/mille-iniziative-di-base-per-applicare-dal-basso-le-parti-progressiste-e-democratiche-della-costituzione/).

Una prima occasione di dibattito, su questo tema sarà l'iniziativa del 23 febbraio, organizzata dalla sezione di Siena del Partito dei CARC: “Applicare la Costituzione è un reato?”, che si svolgerà presso lo spazio “Il Tortuga”, località Fosci 25, a Poggibbonsi (si allega la locandina dell'evento).
Sarà anche occasione per esprimere il proprio sostegno politico, economico e morale nei confronti di chi è colpito dalla repressione, come lo è stato il compagno Lino in questo caso. Solidarizzare è compito di tutti quanti sono onestamente per la difesa della Costituzione, per la costruzione di un'alternativa politica, economica, sociale, per le masse popolari del nostro Paese.
Rispediamo al mittente questo attacco repressivo: usiamolo per promuovere l’autorganizzazione e la mobilitazione popolare!

Federazione Toscana del Partito dei CARC

lunedì 20 febbraio 2017

CONTRATTACCARE ALLA RICHARD GINORI

La Commissione Gramsci si associa al (nuovo)PCI nella diffusione del comunicato “Contrattaccare alla Richard Ginori”. La classe operaia della Richard Ginori ha avuto sempre ruolo da protagonista nella lotta di classe del nostro paese. Nel documento delle due compagne si fa riferimento allo storico sciopero dei settanta giorni, contro misure del padrone Richard il cui obiettivo era obbligare gli operai a scendere sul terreno di lotta, costringerli a uno sciopero prolungato, approfittare delle debolezze della CGL e infiltrare tra di loro i fascisti. I fascisti screditarono il sindacato e iniziarono la propaganda per il corporativismo, perché, cioè, gli operai anziché unirsi nella lotta contro il padrone si  unissero al padrone nella lotta contro altri operai, contro i “sovversivi”.
L’Ordine Nuovo di Gramsci intervenne sulla questione:
“Sesto, questa piccola oasi di tranquilla operosità proletaria, doveva cadere, gioco forza, in mano agli squadristi, doveva anch’essa essere occupata dalle guardie bianche, come la quasi totalità delle cittadine, del paese, delle campagne della provincia di Firenze .
È vero che la difesa di questo borgo operaio avrebbe potuto significare la ragione per una energica azione offensiva delle forze proletarie del fiorentina ed è vero anche che motivi per organizzare questa offensiva e condurla ce n’erano nell’episodio della difesa di Sesto dall’assalto delle squadre fasciste. Bastava che a dirigere le masse organizzate della nostra provincia vi fossero stati uomini capaci di intendere la necessità di agire, adatti ad affrontare una battaglia terribile, grandiosa, disperata. Invece anche questo ultimo lembo di terra proletaria, questo superstite paese “rosso” è caduto senza resistere incontro ad un branco di bravacci e anche per Sesto s’è iniziata ora la triste occupazione dei fasci di combattimento.
Non c’è affatto da meravigliarsene.
Lo sciopero  dei ceramisti, impostato su un terreno difficile, uscito da una situazione ambigua, equivoca, oscura -  è vera, on. Paolino, la storia del concordato da voi accettato e sottoscritto e poi fatto infirmare dagli operai lanciati nella battaglia? - avrebbe dovuto esser condotto energicamente e disperatamente, senza indecisioni pericolose, senza perplessità, senza dubbi. Perché questo sciopero...non era più una semplice battaglia da sostenersi con degli industriali reazionari e caparbi e intransigenti, ma dopo il violento intervento delle squadre fasciste, intervento portato a disordinare, a impressionare, a indebolire la resistenza operaia, si era trasformato nel primo tentativo squadrista di impiegare la sopraffazione e il sopruso nelle lotte sindacali. Si direbbe quasi che l’eccezionale significato di questa lotta sia sfuggito ai dirigenti le organizzazioni sindacali fiorentine, ai confederalisti della Camera del Lavoro. Perché lo sciopero eseguito con meravigliosa compattezza, con magnifica disciplina, delle masse ceramiste di Sesto, è stato abbandonato a un tratto, con una ritirata inonorata, lasciando alla violenza di un centinaio di fascisti, accampati nel paese rosso, la gloria di questa nuova vittoria, riportata con tanta facilità da sbalordirne gli stessi vincitori?
Ora si cominciano a raccogliere i frutti di questa sconfitta; accanto alle rappresaglie fasciste, che colpiscono i più attivi nostri compagni, si preparano infatti e si annunziano già le rappresaglie padronali. Ben pochi operai comunisti potranno da oggi trovare da guadagnarsi da vivere negli stabilimenti di Doccia, ché la rioccupazione delle maestranze avverrà in modo da permettere alla direzione la maggiore libertà nell’esercitare le vendette tante volte promesse, tante volte sperate. E i migliori saranno i sacrificati, i perseguitati, i condannati alla miseria, alla fame. Non ci saranno proteste, ne si tenteranno pronunziamenti. Il randello squadrista terrà in rispetto ormai le magnifiche, battagliere masse operaie del Sestese, ora demoralizzate, scoraggiate, deluse. [1]
Il foglio di Gramsci, però, non comprende le cause della sconfitta: dice che “bastava che a dirigere le masse organizzate della nostra provincia vi fossero stati uomini capaci di intendere la necessità di agire, adatti ad affrontare una battaglia terribile, grandiosa, disperata.” Ci volevano di sicuro uomini e donne del genere, così come ce ne vogliono per le battaglie di oggi (grandiose sicuramente e anche terribili, ma non diciamo disperate), ma uomini e donne uniti ideologicamente e organizzativamente, cioè ci voleva e ci vuole un partito della classe operaia che ha scienza (che comprende la necessità di agire) e determinazione (adatto alla guerra in corso).






[1] La caduta di Sesto Fiorentino, in L’Ordine Nuovo, 10  marzo 1922.













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Avviso ai naviganti 69, 
20 febbraio 2017
2017, centenario della gloriosa Rivoluzione d’Ottobre, la svolta nella storia dell’umanità

Comitato Centrale del (nuovo)Partito comunista italiano
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Contrattaccare alla Richard Ginori

Riceviamo e su più ampia scala diffondiamo il comunicato che due compagne simpatizzanti del nostro Partito hanno preparato e fatto circolare per mobilitare le file locali del Partito dei CARC, i comunisti, gli operai avanzati della Ginori e gli altri elementi avanzati delle masse popolari dell’area metropolitana di Firenze e chiamarli alla lotta. Lo diffondiamo perché la lotta degli operai della Ginori incominci a suscitare e ricevere solidarietà da tutti i lavoratori e gli elementi avanzati del nostro paese e a sua volta contribuisca a rafforzare le forze proletarie e popolari che lottano nel resto del paese e del mondo.
In tutti i paesi imperialisti la borghesia si accanisce contro la legislazione del lavoro (Jobs Act, leggi del lavoro, ecc.): è la conferma plateale dell’importanza della classe operaia e del ruolo che i proletari aggregati nelle aziende capitaliste e nelle aziende e istituzioni pubbliche possono svolgere nella rivoluzione socialista. Altro che scomparsa della classe operaia!
Le aziende sono in crisi perché la società borghese è in crisi. Ogni azienda può e deve diventare il focolaio locale della rivoluzione socialista! L’instaurazione del socialismo è l’unica via per porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia infligge all’umanità per prolungare la vita del sistema capitalista.
I partigiani delle due parole d’ordine “attuare la Costituzione”, “rompere con UE, Euro e NATO” devono sostenere la lotta degli operai che vogliono costituire un loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare. Allora le realizzeranno. Senza questo le due parole d’ordine restano slogan privi di conseguenze pratiche, buoni per qualche manifestazione o per tentare di mettere insieme un nuovo cartello elettorale della sinistra borghese da schierare alle prossime elezioni politiche e amministrative.


16 gennaio 2017. La Richard Ginori è di nuovo sotto attacco, con minacce di trasferimento dell’azienda e di lavoratori dichiarati in esubero. La pretesa padronale, oltre al taglio dei lavoratori, è di trasferire l’azienda fuori Sesto Fiorentino, grossomodo, sembrerebbe, come accadde negli anni Cinquanta quando, al termine di una lunga lotta, i padroni abbandonarono la vecchia manifattura, attiva da secoli e la fecero ricostruire dall’altro lato della città. Oggi però l’intento non è di costruire altrove per riprendere la produzione in un contesto di espansione produttiva generale come fu dagli anni Cinquanta in poi, grazie alla quale le centinaia di licenziati dalla fabbrica trovarono occupazione e Sesto diventò una cittadina ricca sul piano economico, dei servizi alla collettività, di insediamenti culturali come, ad esempio, l’Istituto Ernesto de Martino. Oggi l’intento di Gucci (e dei padroni suoi complici in affari e in politica) è trarre profitto dalla speculazione, non dalla produzione, e condurre la fabbrica più o meno lentamente alla morte, come fatto in decine e decine di casi simili in Toscana, come stanno facendo per due grandi insediamenti industriali come la Piaggio di Pontedera e l’acciaieria di Piombino, e non guadiamo oltre la Toscana! Si tratta di un intento che naturalmente i padroni e i loro complici non possono confessare, né in generale né a Sesto: chiudere la Ginori significa strappare a Sesto mente e cuore, perché questo insediamento urbano si è strutturato nei secoli sul piano economico, politico e culturale attorno a questa fabbrica.
Tra le altre cose, se l’intento dei padroni avesse successo, significherebbe la fine della giunta comunale presente, che alle ultime elezioni amministrative [2015] si è imposta come una delle novità più interessanti, di “rottura con il regime delle larghe intese”, insieme a quella guidata a Napoli da De Magistris e a quelle del M5S. Effettivamente, questa giunta si è imposta anche per l’onda lunga della vittoria degli operai che nel 2013 hanno imposto la riapertura della fabbrica, oltre che per la spinta della mobilitazione popolare contro l’intento di costituire nella piana di Sesto un inceneritore, di ampliare l'aeroporto e di costruire la terza corsia dell'autostrada A11, cioè contro la frenesia speculativa e antipopolare delle grandi opere inutili quando non anche dannose.
In effetti questo è il futuro che la borghesia imperialista garantisce alle masse popolari: nessun futuro! A Sesto si chiude la produzione delle ceramiche Ginori, si lascia alle ortiche il museo che raccoglie il meglio di tale produzione nei secoli, e si avvia la produzione di veleno per l’aria che respiriamo. Una giunta che non si pone l’obiettivo di mantenere nel territorio fabbrica e occupati assumendo questo come la madre di tutte le battaglie è pure essa condannata, come lo fu la giunta nel 1922, quando i socialisti, al governo da 24 anni, dopo la sconfitta di uno sciopero di 70 giorni degli operai Ginori, abbandonarono i locali del Comune seguendo l’intimazione dei fascisti scritta su un foglio di carta che si trovarono sul tavolo.
Vincere è possibile. A chi parte sfiduciato per principio, ricordiamo la vittoria del NO al referendum contro la modifica Renzi della Costituzione dello scorso 4 dicembre. In questo caso particolare, però, per vincere occorre una combinazione particolare, quella della classe operaia che si mobilita per la difesa della fabbrica e dei posti di lavoro e contemporaneamente riacquista fiducia che è possibile trasformare il mondo, costruire una società nuova, il ché significa, nel caso nostro, fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Al coro che immediatamente insorge quando diciamo questo, come se parlassimo di qualcosa che è assolutamente impossibile, rispondiamo che la rivoluzione socialista è nella nostra mente non come un sogno, ma come un progetto. Inoltre, rispondiamo con gli insegnamenti tratti dalle battaglie che la classe operaia della Ginori ha condotto.
L’ultima battaglia alla Ginori, quella che nel 2013 ha portato alla riapertura della fabbrica, è stata vinta grazie a uomini e donne che mentre lottavano per gli interessi particolari loro e della città, pensavano a livello dell’intero paese, cioè pensavano di costruire un paese diverso, e agivano di conseguenza, e la loro lotta sindacale non era limitata alle questioni immediate, ma spaziava nel tempo. Il discorso principale e più avvincente della Festa del 25 aprile 2013 a Firenze fu quello di Nencini, del Cobas Ginori, il quale ricordò quando gli operai e i sestesi tolsero le mine con le quali i nazisti volevano fare saltare in aria la fabbrica. Anche oggi avete mine da togliere, voi operai e sestesi e noi tutti!
 Quello che disse Nencini dal palco va tenuto a memoria:
“…ci troviamo in un momento storico in cui è necessario mettere in campo una nuova resistenza. Che dobbiamo combattere contro chi vuole, approfittandosi della crisi drammatica che stiamo vivendo e che gli stessi hanno creato, cancellare i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Combattere contro chi sta precipitando il paese in una condizione drammatica. Contro chi con le politiche assassine di austerità produce disoccupazione, povertà e tragedia. 
Resistere quindi, ma mettendo in campo delle proposte, perché di fronte a questa crisi è necessario che i lavoratori prendano coscienza di essere in un momento in cui non è più possibile delegare ad altri il proprio futuro. Non è possibile delegare a una casta che fa parte ormai in maniera strutturale del sistema di potere e che, come la politica, mira prima di tutto a salvaguardare i propri interessi e i propri privilegi.”

Nencini dice che è lì nel palco “per urlare con forza che solo il lavoro può essere lo strumento per rilanciare l’economia e per fare uscire il paese dalla situazione fallimentare e drammatica in cui versa. Per urlare che c’è bisogno di una nuova politica, di una nuova economia, di una diversa visione del mondo.”
Con questo spirito dalla fabbrica di Sesto si tesse una rete che coinvolge lavoratori ed elementi avanzati delle masse popolari di ogni parte d’Italia,  organismi di lotta e organismi politici a livello cittadino, regionale e nazionale, e si costringe i padroni, sostenuti dalle istituzioni e soprattutto da un partito che ha Renzi come guida, a riaprire la fabbrica.
Dopo la vittoria, c’è da chiedersi se veramente la considerammo una battaglia di una guerra per una Italia nuova come quella descritta dal compagno del Cobas, o se invece pensammo che fosse solo una battaglia, dopo la quale ritornare alle attività correnti e a una presunta normalità, oltre la quale non è consentito elevarsi più di tanto. C’è da chiedersi se veramente comprendemmo che quella era una battaglia di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Non abbiamo dedicato la dovuta attenzione al monito del (nuovo) PCI nel suo comunicato di saluto del 16 giugno [2013] alla Assemblea Operaia che il Cobas Ginori avrebbe promosso il 22 giugno  a Firenze, insieme al Comitato NoDebito:
Oggi il peggiore reato (di fronte alla società e alla storia) delle organizzazioni sindacali, anche delle migliori e ben intenzionate, è di mantenere sulla difensiva questi milioni di lavoratori, di paralizzare la loro enorme forza potenziale. Di limitarsi, nel migliore dei casi, a mobilitarli quando il padrone attacca, quando il padrone minaccia di ridurre i posti di lavoro, di delocalizzare o chiudere, di ridurre salari e peggiorare le condizioni di lavoro, di eliminare i diritti conquistati. Ma limitarsi a difendersi, in una fase come questa, vuol dire perdere, votarsi alla sconfitta.”

Ma veniamo a oggi!
Nel numero di febbraio 2017 di Resistenza, foglio del P.CARC, c’è una intervista al Segretario Generale del (n)PCI, Ulisse. Ulisse spiega che nella prima fase della sua esistenza [1999-2004] il partito si è rivolto alle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS), cioè a quelle organizzazioni che vogliono (o almeno dichiarano di volere) fare la rivoluzione e fare dell’Italia un paese socialista, così come Nencini nel suo discorso del 2013 parlò di fare un paese retto su una nuova economia, una nuova politica e una nuova filosofia. Il discorso vale anche nella relazione che compagni del P.CARC stabilirono allora con i lavoratori in lotta. Riferendosi agli inizi del (n)PCI, Ulisse dice:
Eravamo stati idealisti. In alcuni casi avevamo pensato che una FSRS volesse realmente fare quello che diceva. In altri avevamo confuso quello che ognuna di esse pensava di essere, con quello che essa realmente era. In sostanza avevamo pensato che, siccome noi davamo risposta alle domande che ognuna di esse apertamente si poneva, a quello che apparentemente cercava e a cui dichiarava di aspirare, essa sarebbe venuta con noi. In sostanza avevamo sottovalutato sia la separazione tra teoria e pratica, separazione tradizionale nei paesi imperialisti e in Italia, per precise ragioni storiche, più che in altri; sia gli effetti del sistema di controrivoluzione preventiva e le “tre trappole” messe in opera dalla borghesia e dal clero illustrate nell’articolo su La Voce n. 54 pagg. 17-19. (1)
Forse anche i compagni del P.CARC nel 2013 erano stati idealisti; avevano creduto che siccome Nencini aveva detto, fosse fatto; forse si sono fermati al dito (le affermazioni di Nencini) e non hanno guardato la luna (creare le condizioni affinché quello che Nencini diceva diventasse pratica delle masse popolari di Sesto Fiorentino e della Ginori, queste si concentrassero sulla necessità di consolidare e compattare il nucleo operaio al suo interno, ricercassero negli altri 280 operai nuova linfa per quel nucleo storico di operai che era esausto). Ma ora la questione non è piangere sugli errori fatti, i compagni del P.CARC devono imparare dai loro errori e così avanzare.

(1) Nell’articolo si scrive cosa è il regime di controrivoluzione preventiva: “Nel nostro Manifesto Programma abbiamo illustrato (cap. 1.3.3) il sistema di controrivoluzione preventiva: l’insieme di attività, di linee e di istituzioni con cui la borghesia imperialista ostacola prevenendolo lo sviluppo della rivoluzione socialista, l’insieme messo in opera a partire dall’inizio del secolo XX negli USA ed esteso su grande scala a tutti i paesi imperialisti a partire dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Abbiamo in quel contesto illustrato il primo pilastro e in particolare l’ampia diffusione di teorie che creano un meccanismo di intossicazione, confusione e diversione dalla realtà diretto a conformare la mente e i cuori delle masse popolari distogliendole dalla lotta di classe e soprattutto dalla comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe.” Questo meccanismo è la prima trappola. La seconda trappola sono le attività correnti. Siamo “al punto che oggi spesso nei paesi imperialisti lavoratori che sono impegnati nel lavoro remunerato quaranta o meno ore alla settimana (comunque circa la metà di quanto lo fossero i loro nonni) si trovano inavvertitamente a non riuscire a disporre di tempo per l’attività politica. Impegni familiari, relazioni sociali, attività, hobby e droghe saturano il loro tempo lasciato libero dal lavoro in produzione.” La terza trappola è il mondo virtuale. Quello che mira a “distogliere dal mondo reale a vantaggio di un mondo immaginario e arbitrario in cui rifugiarsi anziché trasformare il mondo reale.”

Vincere è possibile, fare un governo di emergenza è possibile ed è possibile fare dell’Italia un nuovo paese socialista, anche se tutti i filosofi, economisti, politici di regime lo negano, e soprattutto anche se a negarlo è stato il vecchio PCI a partire da Togliatti fino a Berlinguer e oltre. Non si può provare, però, che vincere è possibile, fino a che non si è vinto, come non si può sapere che una pera è buona fino a che non la si mangia. Un fatto però lo abbiamo a disposizione, ed è che di sicuro chi non avanza arretra: dopo la riapertura della fabbrica non è stata coltivata a dovere l’idea del socialismo possibile e non è stato curato a dovere l’avanzare nella costruzione del partito che rende il socialismo possibile, e cioè il partito comunista. Dopo una lotta, soprattutto dopo una lotta importante a livello nazionale, se non si esce con una maggiore unità di pensiero e una corrispondente organizzazione, si finisce “sparpagliandosi in una infinità di volontà singole”, come ha scritto Gramsci: così è accaduto nella Ginori e tra chi ha guidato la lotta, dove si sono dati i giudizi più divergenti: tra chi la vide come una vittoria ma non comprese come darle seguito; tra chi disse che era una sconfitta al modo dei trotzkisti, per i quali tutto è una sconfitta a parte la rivoluzione che secondo loro dovrebbe scoppiare simultaneamente in ogni parte del mondo; tra chi per non “delegare alla casta”, delegò al Movimento Cinque Stelle il quale, oggi, ancora non si è fatto vedere ai cancelli della fabbrica per sostenere gli operai.
Dalla battaglia della Ginori abbiamo imparato che l'importanza di ogni lotta ancora più che nei risultati immediati sta nel contributo che dà alla crescita dell'organizzazione e all'elevazione della coscienza dei protagonisti di quella lotta, gli operai.
Ma la disgregazione c’è stata anche fuori, in chi ha sostenuto la battaglia, come ad esempio fece il Partito dei CARC, per il quale iniziò una fase critica che si manifestò in tutta la sua acutezza un anno dopo, e che fu però salutare: oggi questo organismo della Carovana del (n)PCI ha conquistato nella capitale della regione una forza che mai ha avuto. Il fatto è, compagni e compagne, che in un singolo scontro l’importante non è vincere o perdere, ma dall’uno o dall’altro esito trarre terreno per andare avanti. Una sconfitta è un problema, e lo sappiamo, ma lo è anche una vittoria, se non osiamo conquistare tutto.
Così fu dopo la grande vittoria dell’Armata Rossa sul nazifascismo, in quegli anni in cui in Italia la Resistenza vinse, e poi il Partito Comunista Cinese conquistò il potere in Cina, anni in cui il movimento comunista aveva il governo nei paesi più popolati del pianeta, dal fiume Elba fino alle coste asiatiche dell’Oceano Pacifico. Anche quel movimento arretrò: prevalse la destra, di Kruscev, di Togliatti e degli altri revisionisti moderni, che iniziarono con la denigrazione di Stalin e quindi, via via, diffusero l’idea che il socialismo è impossibile, e infine disgregarono l’URSS, massima parte dei paesi socialisti e il PCI e massima parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti.
Fu la sinistra che non seppe come avanzare. Oggi abbiamo studiato e compreso i limiti che ebbe la sinistra del vecchio PCI, del movimento marxista-leninista e delle Organizzazioni Comuniste Combattenti come le Brigate Rosse che ai revisionisti moderni si opposero, e riprendiamo il cammino. Di fatto, il socialismo non solo è possibile, ma necessario.

Per diventare comunisti bisogna impadronirsi della scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia, svilupparla e usarla per instaurare il socialismo: il Partito è la scuola per ogni individuo deciso a diventare comunista!
Avanti quindi!
Costituire clandestinamente in ogni azienda capitalista, in ogni azienda pubblica, in ogni istituzione e in ogni centro abitato un Comitato di Partito per assimilare la concezione comunista del mondo e imparare ad applicarla concretamente ognuno nella sua situazione particolare!
Studiare il Manifesto Programma del Partito è la prima attività di chi si organizza per diventare comunista. Stabilire un contatto clandestino con il Centro del Partito è la seconda. Promuovere la costituzione di organizzazioni operaie in ogni azienda capitalista e di organizzazioni popolari in ogni azienda pubblica, in ogni istituzione addetta a fornire servizi pubblici, in ogni scuola e università, in ogni zona d’abitazione è la terza.

Con il socialismo nessuna donna e nessun uomo è un esubero!
Con il socialismo c’è posto per tutti quelli che sono disposti a far la loro parte dei compiti di cui la società ha bisogno!
Osare sognare, osare pensare, osare vedere oltre l’orizzonte della società borghese!


Nicoletta M. e Giulietta C., simpatizzanti del (nuovo)Partito comunista italiano