"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

giovedì 20 agosto 2015

QUADERNI IN PILLOLE - Q1, Nota 38

AZIONE CATTOLICA (1) - SAPERE SPIEGARE

In questa Nota Gramsci dice che l’Azione Cattolica ha una caratteristica che il movimento comunista deve apprendere. Dice che quando dobbiamo spiegare qualcosa a chi non è abituato a un esame scientifico della realtà dobbiamo usare esempi pratici, anzi serie di esempi pratici. Scrive:
“Il lettore comune non ha e non può avere un abito "scientifico" che solo viene dato dal lavoro specializzato: occorre perciò aiutarlo con una attività letteraria opportuna. Non basta dargli dei "concetti" storici; la loro concretezza gli sfugge: occorre dargli serie intere di fatti specifici, molto individualizzati. Un movimento storico complesso si scompone nel tempo e nello spazio da una parte e in piani diversi (problemi speciali) [dall'altro,] anch'essi scomponibili nel tempo e nello spazio.”
Questo è quanto ha saputo fare l’Azione Cattolica. Infatti “essa ha avuto sempre una direttiva centrale e centralizzata, ma anche una grande varietà di atteggiamenti regionali nei diversi tempi.”
 Tutti i comunisti, ma soprattutto quelli che nel partito hanno ruolo di insegnanti o intendono averlo, devono essere capaci di tradurre il generale nel particolare facendo esempi che riguardano l’esperienza di chi hanno di fronte, esperienza quindi che devono conoscere. Diversamente, se si limitano a esporre i principi generale o a ripetere le direttive del centro del partito senza applicarle alla realtà concreta in cui sono, i loro discorsi e le loro direttive diventano lettera morta.
Di questo parla il nuovo PCI nel numero 50 de La Voce, dove si indicano alcuni elementi di cui dobbiamo tenere conto.
“1. L’originalità della nostra concezione, analisi e linea che in generale sono (…) espresse con i vocaboli e le espressioni del linguaggio corrente in cui gli stessi vocaboli e le stesse espressioni hanno un significato diverso da quello che diamo noi, ricavabile dal contesto dei nostri scritti (per questo spesso conviene usare parafrasi).
2. La noncuranza se non il disprezzo correnti nella sinistra borghese per il pensiero e la teoria, in particolare negli ambienti “rivoluzionari”: qui predomina il rivoluzionarismo volgare che non comprende che la parola e la teoria sono anch’esse azione e che esercitano, in certi periodi, un ruolo potente (quello che la borghesia e il clero combattono con il primo pilastro della controrivoluzione preventiva).
3. Lo stile stereotipato che molti di noi adottano nel fare propaganda: usando formule e parole di rito, addirittura abbreviazioni o sigle (GBP, RP, ecc.): il contrario dello stile vivace, con riferimenti a casi noti al pubblico, con termini ed espressioni locali, con parafrasi.
Il linguaggio che usiamo nella nostra rivista e nei nostri comunicati certamente non è scelto per far presa “sulla maggioranza” a cui i nostri scritti non arrivano. È quello che riteniamo necessario per spiegare la nostra concezione e la nostra linea a quelli che, per l’una o l’altra ragione della loro esperienza, hanno capito che devono fare lo sforzo e darsi i mezzi necessari per imparare una scienza difficile che permetterà a ognuno di essi di parlare usando “il dialetto del posto” al semplice lavoratore, alla casalinga, all’immigrato, al giovane. È un metodo che funziona. Ogni scienza ha bisogno di un linguaggio appropriato. “Dal nostro linguaggio oscuro, alla lingua parlata”, dicevamo già nel primo numero (marzo 199) di La Voce.”(2)
Al riguardo è assolutamente istruttivo quello che dice Mao Tse tung nel discorso sullo stile stereotipato nel partito(3), contro il quale elenca otto capi d’accusa, molti dei quali hanno a che fare con quello che scrive il nuovo PCI. Considerato che in varie forme si manifestano ancora oggi anche tra i comunisti, li riportiamo tutti,
1. “Primo capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: perdersi in chiacchiere interminabili, prive di contenuto.”
2. “Secondo capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: assumere un tono affettato e pretenzioso per intimidire la gente (…)Lu Hsun, criticand questa gente, ha detto: “Insultare e intimidire non significa combattere”. Ciò che si fonda sulla scienza non teme la critica, perché la scienza è verità e in quanto tale non teme la confutazione.”
3. “Terzo capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: scoccare la freccia a caso, senza tener conto del bersaglio.”
4. “Quarto capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: avere un linguaggio piatto e insipido…”
5. “Quinto capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: esporre gli argomenti trattati in un’infinita serie di punti successivi come in una farmacia tradizionale cinese.”
6. “Sesto capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: mancare di senso di responsabilità, arrecare danno a tutti. (…) Molti scrivono articoli o fanno discorsi senza fare uno studio o una preparazione preliminari. Quando hanno terminato un articolo, si affrettano a pubblicarlo, senza neanche prendersi il fastidio di rileggerlo almeno un paio di volte…
7. “Settimo capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: avvelenare tutto il partito, nuocere alla rivoluzione.”
8. “Ottavo capo d’accusa contro lo stile stereotipato di partito: attraverso la sua diffusione, condurre il popolo e il paese alla rovina.”
Consigliamo lo studio di tutto il discorso di Mao Tse tung, cosa che sicuramente rende i comunisti capaci di esporre la loro concezione in modo tale da estendere la loro influenza in misura esponenziale.

NOTE
1. Quaderni del carcere a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 2001 (prima ed. 1975), Torino, pp 27-29.
2. La Voce del nuovo PCI, n.50, luglio 2015 p. 56, in http://www.nuovopci.it/voce/voce50/evitare.html.
3. Mao Tse tung, Opere, ed. Rapporti Sociali, Milano, 1992, vol. 8, pp. 149-161 [da qui in poi, MAO], in http://www.nuovopci.it/arcspip/IMG/pdf/08.pd

mercoledì 19 agosto 2015

GRAMSCI E LA SEMPLICITA'

Il Vaticano vuole tirare fuori sangue dalle rape, e perciò Bergoglio ha voluto prendere nome di Francesco, tentando di contrabbandare le cose che dice come “semplici”, tali che le capiscono anche uccelli e lupi, mentre sono solo banali, e false. Se hanno tanto successo presso la sinistra borghese è perché questa è disposta a tutto pur di non dovere fare i conti con il comunismo, che è la semplicità vera, quella che è “difficile a farsi” e che quindi non va bene per una serie di individui pigri e opportunisti che ancora riscuotono fiducia da parti consistenti delle masse popolari.
La semplicità di Bergoglio è contraffatta, e quindi è una falsa medicina, che bene non fa e anzi fa male. È utile sapere cosa pensa Gramsci di questo genere di contraffazione. Ne scrive dal carcere alla cognata Tania, nella lettera 147, il 10 marzo 1930:
“Francesco si pose come iniziatore di un nuovo cristianesimo, di una nuova religione, sollevando enorme entusiasmo come nei primi secoli del cristianesimo. La Chiesa non lo perseguitò ufficialmente, perché ciò avrebbe anticipato di due secoli la riforma, ma lo immunizzò, disgregò i suoi discepoli e ridusse la nuova religione a un semplice ordine monastico ai suoi servizi. Se leggi i fioretti per fartene una guida di vita, non ne capisci nulla. Prima della guerra è successo che Luigi Luzzatti pubblicasse nel «Corriere della Sera» un fioretto ritenuto da lui inedito accompagnandolo da una lunga confutazione economico-sociale, cosa da far smascellare dalle risa. Ma oggi nessuno può pensare una cosa simile: neppure i frati francescani, la cui regola è completamente trasformata anche nella lettera e che del resto tra gli ordini religiosi sono decaduti in confronto ai gesuiti, ai domenicani e agli agostiniani, cioè agli elementi religiosi che sono specializzati nella politica e nella cultura. Francesco fu una cometa nel firmamento cattolico; il fermento di sviluppo invece rimase in Domenico (che diede il Savonarola) e specialmente in Agostino dal cui ordine è uscita la riforma prima e il giansenismo piú tardi. S. Francesco non fece della speculazione teologica; cercò di realizzare praticamente i principii del Vangelo; il suo movimento fu popolare finché visse il ricordo del fondatore, ma già in fra Salimbene da Parma, vissuto una generazione dopo, i francescani sono dipinti come dei gaudenti. E non parliamo della letteratura in volgare: Boccaccio è lí per mostrare come l'ordine fosse scaduto nella stima pubblica; tutti i frati del Boccaccio sono francescani".
Gramsci torna sulla questione della religione più di un anno dopo, in un’altra lettera alla cognata (Lettera 202, 27 luglio 1931). Qui disgrega un pregiudizio molto diffuso ancora oggi, e perciò è utile rileggere quello che scrive. Pensate a quando un comunista intende parlare della concezione comunista del mondo a un bambino (esempi di questo tipo si sono diradati negli ultimi decenni, ma stiamo riorganizzandoci per farlo) Subito si alza un coro di proteste sul fatto che stiamo cercando di indottrinare un piccolo approfittando della sua innocenza.
La Chiesa di Roma fino dal momento in cui uno nasce pretende di imprimere su di lui il suo marchio e lo segue quindi pronta a calare su di lui non appena diventa capace di intendere. Gramsci scrive:
“La Chiesa Cattolica, che indubbiamente è l'organismo mondiale che possiede la maggiore accumulazione di esperienze organizzative e propagandistiche, ha fissato ai 7 anni l'entrata solenne nella comunità religiosa con la prima comunione, e presuppone nel fanciullo la prima responsabilità per la scelta di una ideologia che dovrebbe imprimere un ricordo indelebile per tutta la vita.”
Chi critica i comunisti come indottrinatori magari pensa che anche la Chiesa è tale, e che la vera educazione è “nessuna educazione” perché uno, secondo loro, ha già in sé quello che gli serve scoprire. Questo è un ragionamento che non applicano a nessun altro campo: nessuno di loro lascerebbe il proprio figlio solo in mezzo a una selva o a un deserto o a un campo di battaglia o su un gommone nel Mar Mediterraneo, pensando che saprebbe cavarsela da solo. Questo ragionamento per cui pensare sarebbe infine naturale come cacare lo applicano anche agli adulti, per cui quando si vuole, per esempio, trattare una vertenza sindacale con lo strumento dell’analisi politica subito si ergono muri di diffidenza, come se gli operai fossero esseri umani capaci di intendere solo quando si parla di soldi, di tempo libero, eccetera, e non capaci di sognare, capaci di poi di governare se stessi e il mondo, cosa per cui è appunto necessaria scienza politica.
Anche tra quelli che fino a oggi si sono sentiti in qualche misura anticlericali e quindi ostili a ogni genere di “indottrinamento”, comunque, vengono fuori fans di Bergoglio, e quindi lo lodano come se la sua fosse la semplicità di un bimbo, come se fosse cosa “naturale”.
È senz’altro possibile insegnare a un tredicenne le leggi della generazione del plusvalore e della caduta tendenziale del saggio di profitto, cose che gli servono per capire come va la società in cui vive tanto quanto gli è utile sapere che la luna è un satellite è che le stelle sono soli, e non buchi di una coltre nera che copre la luce eterna. Se non lo facciamo, siamo responsabili della sua ignoranza e non lo facciamo perché sono cose che non sappiamo nemmeno noi, e che dobbiamo studiare. Dobbiamo studiare, se vogliamo che il mondo sia come vogliamo.

NOTE
1. B. Brecht, Lode al comunismo, 1933.

mercoledì 12 agosto 2015

QUADERNI IN PILLOLE - Q3, Nota 43


"Argomenti di cultura. Materiale ideologico. Uno studio di come è organizzata di fatto la struttura ideologica di una classe dominante: cioè l’organizzazione materiale intesa a mantenere, a difendere e a sviluppare il «fronte» teorico o ideologico. La parte più ragguardevole e più dinamica di esso è la stampa in generale: case editrici (che hanno implicito ed esplicito un programma e si appoggiano a una determinata corrente), giornali politici, riviste di ogni genere, scientifiche, letterarie, filologiche, di divulgazione ecc., periodici vari fino ai bollettini parrocchiali. Sarebbe mastodontico un tale studio se fatto su scala nazionale: perciò si potrebbe fare per una città o per una serie di città una serie di studi. Un capocronista di quotidiano dovrebbe avere questo studio come traccia generale per il suo lavoro, anzi dovrebbe rifarselo per conto proprio: quanti bellissimi capicronaca si potrebbero scrivere sull’argomento!
La stampa è la parte più dinamica di questa struttura ideologica, ma non la sola: tutto ciò che influisce o può influire sull’opinione pubblica direttamente o indirettamente le appartiene: le biblioteche, le scuole, i circoli e clubs di vario genere, fino all’architettura, alla disposizione delle vie e ai nomi di queste.
Non si spiegherebbe la posizione conservata dalla Chiesa nella società moderna, se non si conoscessero gli sforzi diuturni e pazienti che essa fa per sviluppare continuamente la sua particolare sezione di questa struttura materiale dell’ideologia. Un tale studio, fatto seriamente, avrebbe una certa importanza: oltre a dare un modello storico vivente di una tale struttura, abituerebbe a un calcolo più cauto ed esatto delle forze agenti nella società. Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice, a questo complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante? Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico, la prima condizione del quale è l’esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umana.” (Gramsci, Quaderno 3, Nota 43)

il riferimento diretto è al Vaticano e Gramsci, in un certo senso, anticipa la teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che poi è stata sintetizzata dal maoismo. 
Quello teorico e ideologico è un vero e proprio fronte e la classe dominante ha un “complesso formidabile di trincee e fortificazioni”. Gramsci ne descrive le articolazioni, che si sono fatte molto più complesse dati i mezzi di informazione operativi oggi, la televisione, internet, i "social", etc.
Chi nel movimento comunista si occupa di formazione ideologica ha da rendersi conto che il lavoro con il quale fa apprendere, assimilare e applicare la concezione comunista del mondo è guerra popolare. Se non se ne rende conto il suo lavoro è pedante, dogmatico, retorico, sterile.
Questo è particolarmente vero nel centro del potere del Vaticano e cioè a Roma, per fare un primo esempio particolarmente evidente. Fare battaglia sul fronte teorico a Roma, elaborare scientificamente l’esperienza scientifica della lotta di classe, insegnare la teoria rivoluzionaria, richiede che i comunisti e il loro partito abbiano il massimo della padronanza della concezione comunista del mondo, il materialismo dialettico, insieme alla consapevolezza che possono vincere perché il nemico è certamente “formidabile”, ma sta in piedi con la rigidità di un paralitico, dice ancora Gramsci, nel Quaderno 20, paragrafo 4.
Questa concezione comunista del mondo è in questa Nota chiamata “coscienza della propria personalità storica”, che avviene per scissione, che è non solo scissione rispetto alle concezioni dominanti, quella clericale e quella borghese, ma, per i comunisti, è anche lotta tra due linee nel proprio stesso campo, nel partito e tra i dirigenti del partito in primis. Precisamente è lotta tra chi comprende che quello ideologico è un fronte della guerra popolare e chi invece lo sottovaluta, lo considera studio al modo in cui si studia nelle università borghesi, lo pone come secondario rispetto all’essere nelle lotte nelle piazze e nelle fabbriche, lo fa se e quando avanza tempo, alla fine e non all’inizio di una attività.
Questa  concezione comunista del mondo deve poi estendersi dalla classe protagonista (leggi “classe operaia”) alle “classi alleate potenziali” (leggi “altre classi proletarie e classi non proletarie delle masse popolari”). La classe operaia che ha alla testa il partito comunista deve fare in modo che le altre classi si scindano da quella dominante: questo è, teoricamente e operativamente al tempo stesso, creare le condizioni per il Governo di Blocco Popolare ed è un processo pratico, un processo di guerra popolare, appunto. È anche un processo di lotta ideologica, perché le Organizzazioni Operaie e Popolari avanzano quanto più conquistano autonomia ideologica dalla borghesia, comprendono la loro forza, comprendono che non sono i padroni a essere forti. 
Questa è cosa da dimostrare nella pratica, ma anche da insegnare. Qui torna la questione degli insegnanti, del fatto che un partito deve darsi un corpo di insegnanti che conducono l’insegnamento come si conduce una guerra, in modo rigoroso, attento, convinto e che questo nucleo deve essere attivo come scuola, deve organizzarsi come scuola.
Infine ci vuole la “esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umana”. Cosa significhi una cosa del genere è difficile da capire. È possibile che Gramsci intenda “conoscenza del campo” oggettiva, indipendente da opinioni e sentimenti di chi lo abita, ovvero che intenda analisi concreta della situazione concreta, diremmo noi oggi. Questo a Roma, restando nell'esempio fatto sopra, significherebbe vedere la realtà in trasparenza, al di là di quanto i vertici della Repubblica Pontificia sanno fare per darne una visione che è l’opposto di quella vera, con tutta la finezza e abilità che viene dall’essere potenza economica e dall’esercizio secolare del potere, con tutta la duplice, triplice e quadruplice morale sedimentata nei secoli. A Napoli, facendo altre esempio, significherebbe vedere la realtà in trasparenza, al di là del caos in cui pare che ogni senso si perda, cosa per cui “si lascia correre”, ci si parla addosso, si sospetta che un senso non ci sia, come dice Vasco Rossi in un suo noto pezzo, non ci si dà da fare per individuare il senso che c’è, per spiegarlo a chi lo vuol capire, per imporlo a chi si ostina in direzione contraria.

martedì 11 agosto 2015

QUADERNI IN PILLOLE - Q8, nota 15

"Si insidia e si sovverte lentamente l’unità religiosa della patria; s’insegna la ribellione alla Chiesa, rappresentandola quale semplice società umana, che si arrogherebbe diritti che non ha, e di rimbalzo si colpisce anche la società civile, e si preparano gli uomini all’insofferenza di ogni giogo. Poiché, scosso il giogo di Dio e della Chiesa, quale altro se ne troverà che possa frenare l’uomo, e costringerlo al dovere duro della vita quotidiana?: 'Civiltà Cattolica', 2 gennaio 1932". (Gramsci, Quaderno 8, nota 15)

L'organo di stampa dei gesuiti si affianca ai fascisti per imporre alle masse popolari italiane il "dovere duro della vita quotidiana" così come oggi la Chiesa diretta dal gesuita Bergoglio si affianca a Renzi e al suo Jobs Act.

venerdì 7 agosto 2015

QUADERNI IN PILLOLE - Q7, nota 97


"Nomenclatura politica. Ierocrazia‑teocrazia. «Un governo nel quale hanno partecipazione e ingerenza legale il clero, il papa o altre autorità ecclesiastiche» sarebbe più propriamente ierocratico; ma può anche esserci un governo «che opera per impulsi religiosi e subordina leggi, rapporti di vita civile, costumi e dettami religiosi» senza essere composto di ecclesiastici, ed è teocratico. In realtà elementi di teocrazia sussistono in tutti gli stati dove non esista netta e radicale separazione tra chiesa e Stato, ma il clero eserciti funzioni pubbliche di qualsiasi genere e l’insegnamento della religione sia obbligatorio o esistano concordati."  (Gramsci, Quaderno 7, nota 97)

Per questo tipo di governo vengono poste alcune premesse con il concordato del '29. Questo governo viene attuato dopo la Seconda Guerra Mondiale ed è la Repubblica Pontificia in cui viviamo ancora tutt'oggi.

giovedì 6 agosto 2015

GRAMSCI E L’ENCICLICA “LAUDATO SÌ”.

La scienza è cosa che alla Chiesa non interessa. La Chiesa non ha una concezione del mondo organica e coerente. Tanto poco la ha che non si preoccupa minimamente di mettere insieme il dire e il fare, tanto da arrivare a promettere, come fanno i suoi politicanti, cose che è scontato che non si possono fare. La teoria per i preti serve solo a mantenere la loro posizione sociale di privilegio. È perfettamente inutile andare da un prete a dimostrargli in base alla logica l’esattezza della scienza, così come è perfettamente inutile andare a protestare davanti alle sedi della Repubblica Pontificia per denunciare le sue malefatte e pretendere che vi ponga rimedio. La Repubblica Pontificia nel migliore dei casi ti lascia parlare e denunciare, poi riprende il suo corso normale e, secondo lei, imperturbabile.  

Gramsci (Q20 §1) sulla materia scrive: “Sul "pensiero sociale" dei cattolici mi pare si possa fare questa osservazione critica preliminare: che non si tratta di un programma politico obbligatorio per tutti i cattolici, al cui raggiungimento sono rivolte le forze organizzate che i cattolici posseggono, ma si tratta puramente e semplicemente di un "complesso di argomentazioni polemiche" positive e negative senza concretezza politica.” [1]
Questo si attaglia all’enciclica Laudato sì, di Bergoglio, dove si fa polemica sullo stato presente delle cose, con specifico riferimento alla crisi ambientale, ma non si dice concretamente come superarlo, come risolvere i problemi, come segnala Marco Marzano sul Fatto Quotidiano del 5 agosto. Marzano dice di Bergoglio:
“ci dice continuamente che siamo andati troppo in là, che abbiamo distrutto una parte eccessiva della terra donataci dal Creatore, che abbiamo peccato di hybris, che ci siamo creduti simili a Dio e abolito ogni limite al nostro fare, al costruire il nuovo e a distruggere il vecchio, che così rischiamo di compromettere la no- stra stessa sopravvivenza sul pianeta o di rendere la nostra esistenza meschina, asservita al denaro, all’ideale di una crescita infinita tanto illusorio quanto deleterio, dal momento che rischia di annientare la nostra umanità e ogni sentimento di giustizia e di pace.
Nell’enciclica il papa non spiega, nemmeno velatamente, come dovremmo passare dalla situazione attuale a quella che egli auspica. Esplicito sui fini, egli è evasivo e silente sui mezzi. È una scelta comprensibile la sua; siamo infatti talmente lontani, da ogni punto di vista, compreso quello psicologico, dal mondo che lui sogna e che assomiglia, per molti versi, al buon mondo antico, alla perduta società premoderna, che vi sarebbe un solo modo per realizzare il passaggio: una catastrofe economica o ambientale, un cataclisma di qualche natura che ci costringa a ripensare radicalmente le condizioni della nostra convivenza.”[2]

Infatti, continua Gramsci in Q 20 § 1, “la Chiesa non vuole compromettersi nella vita pratica economica e non si impegna a fondo, né per attuare i principi sociali che afferma e che non sono attuati, né per difendere, mantenere o restaurare quelle situazioni in cui una parte di quei principi era già attuata e che sono state distrutte. Per comprendere bene la posizione della Chiesa nella società moderna, occorre comprendere che essa è disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative (di Chiesa come Chiesa, organizzazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina: per questa difesa la Chiesa non esclude nessun mezzo, né l‘insurrezione armata, né l‘attentato individuale, né l‘appello all‘invasione straniera.
Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per "dispotismo" la Chiesa intende l‘intervento dell‘autorità statale laica nel limitare o sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto, e purché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi, la esalta e la proclama provvidenziale. [3]

Quanto al “dispotismo” nel sito Infovaticana leggiamo: “la Chiesa italiana ha dichiarato che la recente sentenza della Cassazione, che stabilisce che le scuole paritarie della Chiesa cattolica devono pagare la tassa sui beni immobili, è “una sentenza pericolosa”. Nunzio Galantino, segretario della conferenza Episcopale italiana, ha dichiarato che la decisione della Cassazione, resa nota il 24 luglio, è chiaramente ideologica ed ha chiesto che “chi prende le decisioni lo faccia con meno ideologia”.”[4]

Quanto poi all’accrescimento dei propri privilegi leggiamo di una benedizione di Galantino a Matteo Renzi. Il Manifesto scrive: "Renzi vince in parlamento, ma si ritrova da solo nelle piazze. E nelle sezioni del suo partito. Ieri però ha incassato il favore della Conferenza Episcopale Ita­liana. Il segretario generale monsignor Nunzio Galantino si è scoperto più renziano dei renziani quando ha detto che la riforma della scuola «è un passo in avanti in un Paese troppo abituato alla stagnazione». Le criti­che al governo, e la spaccatura nel Pd, non turbano il monsignore: «Appena si intravede qualcosa di nuovo scatta subito il virus della conflittualità». Segue il sollievo per la boccia­ura della presunta norma sul «gender» e l’invito a «investire di più sulla formazione». Probabilmente alludeva alle scuole paritarie cattoliche che hanno ricevuto in regalo dal governo le facilitazioni fiscali contenute nello School Bonus."[5]


[2] Marco Marzano, Il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2015, p. 13.
[5] Il Manifesto, 10 luglio 2015.